La differenza tra idolo e bandiera, nel calcio moderno è abissale. Di idoli, in questi ultimi anni, il Napoli ne ha avuti tanti. Di bandiere poche. Eppure sembra possa esserci in un futuro prossimo la possibilità che qualche bandiera, nella nostra città, ricomincerà a sventolare, contrariamente ad altre piazze in cui il mercenarismo la fa da padrona. Il passato, invece, ha sfornato bandiere rimaste ancora adesso immortali. Una di queste è Paulo Innocenti, primo capitano del Napoli.
Parliamo degli anni ‘30, quando il calcio era vissuto come una passione, certo, ma scevra dalle contaminazioni monetarie, aveva un’aura più poetica. Personaggi come Paulo Innocenti contribuivano a crearla, perché amava Napoli fino al punto da “sposarla”, da voler passare con lei il resto della propria vita. Perché amava il Napoli a tal punto da offrire allo stadio gesti di indimenticabile eroismo.
E dire che Paulo non era nemmeno nato in Italia. I suoi genitori erano originari di Bologna, ma lui nacque l’undici marzo del 1902 nello Stato di Rio Grande do Sul, in Brasile. A Bologna la famiglia Innocenti tornò nel 1915, quando Paulo aveva solo tredici anni. Il 1915 era proprio l’anno in cui scoppiò la Prima Guerra Mondiale, ma fortunatamente il piccolo futuro capitano del Napoli non era in età per essere arruolato.
Il fronte gli fu risparmiato, e il suo talento calcistico poté crescere indisturbato, sorretto da una grande passione. Nel 1924 fu ingaggiato dal Bologna (quando il Bologna era tra le big del calcio italiano). Vi militò per due anni e fece persino in tempo a vincere uno scudetto, nel 1925, pur collezionando solo 12 presenze. Poche, vero, ma teniamo presente che all’epoca non esistevano le sostituzioni. Quindi o si era titolari, o non si giocava.
Le sue caratteristiche da giocatore cominciarono a venir fuori sin da subito. Dotato di un’ottima tecnica di base, retaggio inconfondibile dei giocatori brasiliani, di una tenacia fuori dal comune, tutta italica, e probabilmente non sapeva ancora di averla ai tempi in cui era al Bologna, ma emergeva chiaramente quella che un giorno in tanti avrebbero chiamato “cazzimma”.
Altro per cui si fece notare fu l’incredibile velocità. Impiegava undici secondi per percorrere cento metri, un tempo di tutto rispetto che gli consentiva di recuperare sugli avversarsi con grande scioltezza, di prodursi in contropiedi brucianti, e di riproporsi con ripartenze fulminee che coglievano spesso impreparate le retroguardie avversarie, con lui costantemente in affanno sulla fascia.
Questa caratteristica, in particolare, attirò le attenzioni del Napoli, che per il suo primo anno in serie A aveva bisogno di qualcuno con esperienza e solidità caratteriale. Come lo trovò? Tutto successe per caso, come nelle migliori storie d’amore. Paulo Innocenti nel 1926 venne convocato nella Caserma di Fuorigrotta per la visita di leva.
Fu per questa ragione che casualmente Paulo si trovava a Napoli. Venne notato e senza bisogno di estenuanti trattative tra società e procuratori (al tempo i giocatori non avevano bisogno di svincolarsi), si ritrovò ad essere un giocatore del Napoli Calcio. Nello stesso anno in cui il Napoli per la prima volta si affacciava in serie A.
Era il 1926, e fu un’annata particolarmente sfortunata, segnata dal grande divario tra le squadre abituate da anni alla Serie A, e il Napoli, cenerentola senza esperienza destinata a fare da pungiball per chiunque. A fine stagione il Napoli aveva racimolato la bellezza di un punto. Un pareggio, e tutto il resto, sconfitte. Peraltro molto pesanti.
L’esordio avvenne il 3 Ottobre del 1926. Pensate, erano tempi in cui il Napoli perdeva contro l’Inter 3-0 (come cambiano le cose!). Ai giocatori del Napoli mancava l’esperienza dei grandi stadi, ma un nucleo di uomini veri avrebbe saputo riscattarsi nel tempo. Di questo nucleo faceva senz’altro parte Paulo Innocenti, il primo capitano della storia del Calcio Napoli.
Altri nomi storici: Sallustro (il primo bomber del Napoli), Kreutzer (l’allenatore-giocatore), Ghisi, Pelvi, Gariglio. Ma fu proprio di Paulo Innocenti il primo gol del Napoli in serie A. Avvenne in quel 17 Ottobre del 1926, quando il brasiliano naturalizzato italiano riuscì a segnare il gol della bandiera nella pesante sconfitta di Genova, quando il Genoa massacrò il Napoli per 4-1.
Il sistema di gioco del Napoli si basava su uno spregiudicato 2-3-5. Una formazione che oggi farebbe licenziare l’allenatore se solo si permettesse di usarla a mo di battuta durante un’intervista. Una squadra alla Oronzo Canà. Una replica del biliardino, il vecchio calcio-balilla, applicato ai campi da calcio. Anche se c’è da dire, in fase di non possesso, il 2-3-5 si trasformava in un più prudente 2-5-3.
Quei due eroi lì in difesa dovevano fronteggiare attacchi quotatissimi. E uno di quei due terzini “centrali” era proprio Paulo Innocenti. Gli faceva compagnia in difesa il terzino Giovanni Vincenzi. Vegliava sull’immacolatezza della porta napoletana il portiere Cavanna. Le difficoltà, le umiliazioni, tempravano ogni giorno di più la coppia di difensori, tanto che già l’anno successivo, costruita un’intesa maggiore e prese le misure degli avversari, le cose cominciarono a migliorare.
Paulo Innocenti e Giovanni Vincenzi diventarono nel giro di qualche anno una delle coppie di difensori più forti della Serie A. Velocità, coordinazione, generosità furono alla base del loro successo, e culminarono nel biennio splendido delle stagioni 1932-33, 1933-34, quando il Napoli per due anni consecutivi arrivò terzo. Era il Napoli di Garbutt, l’allenatore della svolta.
Dal 1935 cominciò la parabola discendente di Paulo Innocenti. Al capitano del Napoli veniva sempre più spesso preferito Luigi Castello, più giovane e rampante. Andò avanti così la carriera di Paulo Innocenti al Napoli, a fari sempre più spenti. Quei fari che però i tifosi del Napoli tennero sempre accesi sul loro capitano.
Nessuno come lui li aveva fatti sentire partecipi di grandi gesti come quello in Lazio – Napoli, quando, rientrato in anticipo sui tempi da un lungo infortunio di sette mesi, indossò una guaina protettiva in cellulosa sulla clavicola, non ancora del tutto ricalcificata. I giocatori della Lazio chiesero all’arbitro di poter vedere cosa nascondeva Innocenti sotto la maglia.
Una volta scoperto l’arcano, l’arbitro non si impietosì minimamente, e obbligò Paulo a togliere l’imbracatura. Con l’osso non del tutto riformato, e senza protezione e sostegno, Paulo non rinunciò a giocare la propria battaglia contro la Lazio. Battaglia persa, certo, 4-1, ma Napoli aveva trovato un giocatore il cui attaccamento alla maglia era più forte del dolore.
Fino al 1937 Paulo interpretò il meglio dello spirito di Napoli, e lo trasferì nel suo stile calcistico. Poi però dovette appendere le scarpe al chiodo. Fece per un po’ il dirigente accompagnatore, poi una breve esperienza da allenatore, traghettando la squadra ereditata da Vojak al terzo posto nella serie cadetta, e poi fu assunto come consulente dal presidentissimo Achille Lauro.
Undici anni di carriera al Napoli, 213 presenze, impreziosite da 6 gol, una presenza in Nazionale, nella squadra delle riserve, contro il Lussemburgo. E poi la scelta di rimanere a Napoli fino al termine dei propri giorni. Morì di infarto il 13 Luglio 1983, e con la sua dipartita veniva ammainata una delle prime bandiere del Napoli.
Fino all’ultimo giorno portò avanti un Bar, chiamato Pippone. Così i tifosi napoletani
soprannominarono simpaticamente Paulo Innocenti, per via del suo grosso naso. Il suo bar fu uno dei primi Bar dello Sport, in cui la domenica ci si poteva riunire per parlare delle partite e commentare vittorie e sconfitte direttamente coi protagonisti. Altri tempi.