Sono una ventina di persone, in totale 4-5 famiglie che abbandonate le case del civico 35 di via Egiziaca a Pizzofalcone, hanno occupato alcuni spazi della chiesa omonima. Il caso è quello delle occupazioni abusive delle case popolari. Quelle di Pizzofalcone hanno riempito le prime pagine dei giornali locali per settimane. Una breve sintesi della vicenda. Una donna residente in quell’edificio, di ritorno da una visita familiare in Irpinia, ha trovato la propria casa occupata da altre persone.
La vicenda
La denuncia ha scatenato la reazione delle autorità, così la procura di Napoli ha autorizzato gli sgomberi e il Comune ha provveduto a mettere i sigilli agli appartamenti incriminati. Ci sono circa altre 20 famiglie che tra qualche giorno dovranno abbandonare lo stesso edificio. Alcune hanno avuto scarso preavviso. Dove andranno non si sa. Forse anche loro cercheranno l’ospitalità della chiesa. Tra loro bambini, neonati e persone malate.
Le donne di Pizzofalcone
Come Nunzia che ha un grave problema alla tiroide. Cammina con l’ausilio di una stampella e deve respirare utilizzando una bombola. Poi c’è Monica, malata oncologica che non ha la possibilità di avere con se tutto l’occorrente per una corretta assistenza medica, farmaci compresi. E ci sono i bambini che hanno costruito un albero di Natale originale: il tronco è di cartone, ai rami sono invece state messe delle letterine.
I bambini e il Natale
“Rivoglio la mia casa, rivoglio la mia cameretta“, c’è scritto sopra un bigliettino. Ora la camera da letto è unica, due materassi sono stati posti sopra delle tavole di legno. Gli sfollati fanno a turno per dormirci. Una stanza più piccola ha un fornellino e funge da cucina. Sopra un tavolo ci sono dei beni di prima necessità consegnati da un’associazione. Un vano più grande è invece una sorta di sala da pranzo dove gli sfollati si riuniscono e stanno insieme. Purtroppo il luogo non colpisce per la sua pulizia: “Abbiamo convissuto anche con i topi“, ha detto Maria.
L’ospitalità del quartiere
Queste persone non hanno a disposizione l’acqua corrente, “per lavarci, farci le docce e cambiarci – ha raccontato Carmela – dobbiamo chiedere il piacere a qualche nostro amico che vive qui vicino o ad altri parenti. Il parroco ci ha aperto solo un piccolo bagno che usiamo per fare i nostri bisogni. E dobbiamo condividerlo con gli agenti di polizia che piantonano il palazzo sgomberato“. Si tratta di un piccolo tugurio la cui unica luce è data da una lampadina. Vi si accede da una stanza che si trova nel cortile della chiesa. Si scendono le scale e si giunge in uno spazio illuminato da due neon.
Gli sbagli e i media
“Noi abbiamo sbagliato, abbiamo occupato un palazzo per 20 anni. Ed è di questo che dobbiamo rispondere di fronte alla legge. – ha spiegato Carmela – Ma non siamo camorristi. Questo è solo fango sul quale è stata costruita una campagna mediatica. Qui ci sono i nostri casellari giudiziari, sono immacolati. Abbiamo più volte inviato pec al comune per trovare una soluzione. Per cercare di essere regolarizzate e pagare il dovuto. Non abbiamo ricevuto mai una risposta. Una soluzione va trovata, il Comune e la Procura sono disinteressate. Abbiamo fatto affidamento sul Vescovo Battaglia. I fitti sono alti e case non se ne trovano. Non possiamo restare in mezzo a una strada“.