Gli errori dell'Occidente. Un Europa lenta e dormiente, gli Usa attendisti e disimpegnati. Lo sgarro alla Clinton e la 'vendetta' democratica
Quando nell’agosto del 2008 i separatisti filo russi decisero di violare gli accordi di Soci siglati negli anni ’90, scatenando un nuovo conflitto civile in Georgia, la comunità Internazionale rimase immobile. Quando fu violata in modo definitivo la sovranità georgiana, solo perché la Russia non voleva l’avvicinamento dell’ex paese sovietico all’Europa e alla Nato, e nacquero le repubbliche di Ossezia del Sud e Abcasia (spalleggiate dal Cremlino) né da Bruxelles, né da Washington, arrivarono azioni forti e solidali nei confronti del popolo e del governo georgiano. La stessa dinamica si è ripetuta in Ucraina nel 2014. Il 24 febbraio scorso, la Russia ha invaso il paese giallo blu.
Gli errori dell’Occidente
Se in Georgia si è fatto finta di niente, in Ucraina l’aggressione era stata praticamente annunciata. Sono state del tutto fallimentari gli approcci diplomatici o l’Occidente è stato indirettamente ‘complice’? In Ucraina ci sono tensioni sociali e civili dal 2014. Il conflitto è diventato anche religioso quando nel 2018 c’è stato lo scisma della chiesa ortodossa ucraina da quella russa. E prima dell’Ucraina c’è stato nel 2020 il conflitto tra Arzebaigian e Armenia per il controllo della regione del Nagorno Karabakh. Anche in questo caso per la fine delle ostilità è stato necessario l’intervento di Mosca. Un dettaglio non da poco che ha consentito alla Russia di mettere le mani sulle tanti risorse minerarie di quell’area.
Facendo un passo indietro nel tempo arriviamo al 1991, quando al dissolversi dell’Urss, la Moldavia ha dovuto ‘sacrificare’ una piccola parte del suo territorio in favore della Russia: la Transnistria. Ma anche negli ultimi anni ci sono stati diversi moti civili scoppiati in paesi che facevano parte dell’Unione Sovietica. Su tutti quelli esplosi in Bielorussia e ancora più recentemente in Kazakistan. Tutti repressi nel sangue con il tacito appoggio di Mosca. Anche in questo caso dai governi europei (sempre incapaci di darsi un’unione in politica estera e in quella di difesa) e dalla Casa Bianca il silenzio è stato assordante. A Vladimir Putin non c’è voluto molto per capire che avrebbe potuto fare il proprio comodo, avendo dalla sua un’altra carta importante da giocare: quella del ‘ricatto’ energetico.
I fallimenti di Obama
Nell’agosto del 2012 il presidente d’allora degli Stati Uniti dichiarò che l’utilizzo delle armi chimiche in Siria avrebbe significato il passaggio di una linea rossa dalla quale non si sarebbe più tornati indietro. A pronunciare quelle parole fu Barack Obama, al suo secondo mandato da inquilino della Casa Bianca. Il leader siriano, Bashar al-Assad ne ha invece fatto uso. Con quell’atto di forza il conflitto civile siriano raggiunse un estremo apice di violenza e anche l’arretramento delle forze ribelli.
L’America però non mantenne fede alla minaccia. Nel 2015 la mattanza in Siria ebbe il suo acme con l’intervento militare della Russia: lo Zar Putin entrò in gioco a sostegno del fedele alleato. Le bombe russe, insieme al supporto iraniano, sono stati fondamentali affinché Assad riconquistasse con la violenza il paese e restasse al potere. Il disastro siriano, dopo quello dell’Iraq e precedente a quello dell’Afgahnistan, è stato uno dei fallimenti più clamorosi della politica estera a stelle a strisce. Una strategia geopolitica che ha segnato per sempre il disimpegno statunitense dal medioriente favorendo l’interventismo russo.
Con la ‘salvezza’ di Assad, il Cremlino, non solo si è assicurato uno sbocco sul Mar Mediterraneo (attraverso una propria base militare nella città siriana di Tartus) ma anche un ruolo di primo piano sulla scacchiera geopolitica davanti agli altri leader della regione: i sauditi, gli emirati, la Turchia di Erdogan, Israele. Putin ha in questo modo rafforzato il proprio rapporto con l’Iran e l’Egitto (con quest’ultimo l’asse tra Il Cairo e Mosca è diventato evidente con la gestione della crisi libica). Insomma, con un’Europa ‘fantasma’ e gli Stati Uniti in ‘ritirata’, la Russia ha potuto riacquistare a livello internazionale la ‘gloria’ del passato.
La vittoria ‘truccata’ di Trump
Andando oltre oceano e senza fare riferimenti troppo legati al passato (dove dal periodo legato alla Guerra Fredda si è passati al decennio di apertura a partire dalla perestroika di Gorbaciov fino ai primi anni con Putin al potere), i rapporti tra la Russia e gli Usa hanno avuto una svolta decisiva in occasione dell’elezione di Donald Trump. L’arrivo dell’imprenditore a Washington ai danni di Hilary Clinton sarebbe stato possibile grazie ad un’infiltrazione informatica causata da un hackeraggio russo. Un dettaglio che il Partito Democratico si è legato al dito.
Ma anche il tramonto di The Donald con l’assalto a Capitol Hill ha dato un chiaro segnale al Cremlino: anche internamente le cose negli Stati Uniti non stanno andando benissimo. Eppure con lo scambio di consegne tra Trump e Joe Biden le relazioni tra la Russia e l’America sono di nuovo cambiate. E questa volta in peggio, con ripercussioni anche sulla questione ucraina. Del resto Putin non ha mai digerito l’arrivo di Zelenski a Kiev così come il precedente rovesciamento dell’amico Viktor Janukovyč in seguito alle proteste di Piazza Maidan.
La ‘provocazione’ di Zelensky e di Biden
Ad oggi, a guerra già scoppiata, non possiamo non pensare al motivo per il quale la Russia ha deciso di attaccare l’Ucraina. Tolte le mire imperiali di Putin, il presidente Zelenski e gli alleati occidentali avrebbero potuto da tempo rinunciare all’ingresso di Kiev nella Nato avendo in cambio forti garanzie di sicurezza e difesa. Allo stesso tempo l’Ucraina avrebbe dovuto avere la certezza di una sua adesione all’Unione Europea. Ma ormai il dado è tratto ed è giusto che il popolo ucraino sia armato per potersi difendere. Ma la diplomazia non va mai abbandonata.
Eppure Biden pare che l’abbia dimenticato: anche se è chiaro chi siano il colpevole e la vittima e quale sia il modello democratico e liberale al quale aspirare, le recenti offese che il presidente Usa ha rivolto all’omologo russo non hanno certo aiutato a distendere il clima. Considerato che sullo sfondo c’è sempre la competizione con la Cina il sospetto che quella ucraina sia per l’America una guerra per procura è diventato molto forte.