Sono passati alcuni giorni dall’agguato avvenuto tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli a Napoli. Pochi giorni dove le vittime innocenti ferite dai killer hanno dovuto fare i conti con una drammatica eventualità: quella di essere uccisi semplicemente perché erano per caso in strada e vicini all’obiettivo dei killer.
Come riportato da Il Mattino, Vittorio Vaccaro, uno dei due operai colpiti dalle pallottole esplose lo scorso mercoledì in pieno giorno, ha espresso tutto il suo dolore e la sua amarezza: “Vado via, non si può vivere rischiando di essere uccisi per errore”.
Questa è invece una lettera scritta da un residente dei Quartieri Spagnoli e inviata alla redazione del giornale online Fanpage:
Ero appena passato con mia moglie e i miei figli da vico Lungo San Matteo, una strada che facciamo spesso per raggiungere la Pignasecca quando via Toledo è troppo affollata. Poi gli spari, le grida e le sirene. L’ultimo agguato di camorra a Napoli è quasi costato la vita a due persone che si trovavano lì per caso, ferite dai proiettili vaganti sparati dai killer tra la folla all’ora di punta, non lontano dalla Pignasecca, dove qualche giorno fa l’ex premier Conte e il candidato a sindaco Manfredi distribuivano selfie e promesse di ogni genere.
Ebbene, dopo questo ennesimo episodio di violenza, indicativo della recrudescenza di certe pratiche criminali in un contesto di totale abbandono da parte delle istituzioni, ho deciso di portare via la mia famiglia dai Quartieri Spagnoli, dove sono nato e cresciuto. Siamo letteralmente fuggiti come i profughi che fuggono dalle guerre, di notte, impacchettando solo le cose più importanti, fino a riempire il bagagliaio della macchina. Agguati, sparatorie, stese, spaccio, illegalità diffusa. Nulla di nuovo, penserà chi vive nei Quartieri e nelle zone limitrofe, e invece no, perché dopo la pandemia la camorra è ancora più forte, più violenta e più radicata di prima.
A partire dalla fine del primo lockdown, i clan hanno cominciato a riorganizzarsi per sfruttare al meglio l’emergenza. Grazie ai ritardi degli aiuti e dei ristori statali alle famiglie e ai commercianti, usura e riciclaggio sono dilagati. Tante famiglie sono finite in mano agli strozzini e tante attività fallite sono state “rilevate” da soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai clan.
Con la riapertura dei centri scommesse e delle finte associazioni religiose, sentinelle e capi zona sono tornati a presidiare i vicoli, le piazze di spaccio hanno riaperto, l’immondizia di chi occupa abusivamente bassi e scantinati, con buona pace del Comune, ha cominciato di nuovo ad accumularsi su strade e marciapiedi e, alla fine, hanno ricominciato a sparare.
La percezione dello Stato, ai massimi livelli durante il primo lockdown, si è lentamente affievolita per poi sparire del tutto all’avvicinarsi della fine dell’emergenza, lasciando i cittadini in balia degli affari e dei regolamenti di conti di assassini e delinquenti.
Non è questo il posto dove andare a fare la spesa, dove scendere a farsi una passeggiata, dove accompagnare i figli a scuola, dove andare in chiesa o al bar. Con la morte nel cuore abbandono il campo di battaglia, perché le guerre le fanno i soldati, noi siamo solo dei profughi.