In questo giorno due killer hanno ucciso Il capo clan Sacco e suo figlio, segnando una svolta negli equilibri criminali della città
Gennaro Sacco e suo figlio Carmine, erano in sella su una motocicletta in via Juri Gagarin, nel cuore di San Pietro a Patierno quartiere nella zona Nord di Napoli che confina con Secondigliano e Scampia. I Sacco erano nel loro territorio, un fortino che ha resistito per decenni nonostante la forte influenza dell’Alleanza di Secondigliano, con il clan Licciardi in primis, e i Di Lauro sodalizio la cui egemonia in quell’area era stata messa in discussione dalla sanguinosa faida contro gli scissionisti degli Amato–Pagano.
Spesso, però, essere a casa propria non è sempre sinonimo di sicurezza. Un’altra moto si era affiancata all’improvviso a quella di Gennaro e Carmine Sacco, i volti dei due uomini a bordo nascosti dai caschi integrali. Padre e figlio avevano intuito che qualcosa non andava, quindi Carmine che era alla guida della motocicletta aveva provato ad accelerare per seminare i due uomini. Ma era troppo tardi, l’altra moto andava veloce e non ha perso terreno. Si è affiancata di nuovo a quella dei Sacco e il passeggero ha estratto all’improvviso una pistola puntandola alla testa di Gennaro Sacco. Il killer non ha sbagliato, ha esploso un colpo d’arma da fuoco preciso il cui proiettile si è conficcato nella tempia di Sacco Senior. Quest’ultimo si è accasciato sulle spalle del figlio. Carmine è andato nel panico, il padre è stato raggiunto da un proiettile e i killer non sembrano contenti, c’è ancora una cosa da fare per portare a termine la missione di morte: anche Carmine Sacco deve morire. Il giovane lo aveva capito, è stato costretto a lasciare di corsa la motocicletta rischiando l’incidente. Si era ferito, la fuga è diventata più difficile e i killer gli erano alle spalle. Nessun lieto fine, i due sicari lo hanno raggiunto e non hanno esitato neanche per un istante: un altro sparo, dritto alla testa, una vera e propria esecuzione così come era successo per papà Gennaro.
Era il 24 novembre del 2009 e il doppio assassinio, che in una volta sola ha fatto fuori il boss Sacco e suo figlio nella loro roccaforte, ha cambiato per sempre gli equilibri criminali dell’area Nord di Napoli. Non solo, ma il duplice agguato ha causato la rottura del legame che aveva unito fino a quel giorno il clan Sacco con quello dei Bocchetti. Un’alleanza nata alla fine degli anni ’80 con il patto stretto proprio tra Gennaro Sacco e Gaetano Bocchetti, ad oggi condannato e detenuto al regime di massima sicurezza del 41bis (fatto che ha permesso a Gennaro Sacco di assumere il comando all’interno del sodalizio). Ma nel mondo della criminalità organizzata molte volte le dinamiche e gli scenari cambiano, così basta un niente e da amici fedelissimi ci si trasforma in avversari da abbattere. In gioco c’è sempre il controllo di un territorio che è troppo importante per la camorra. Perché tra Secondigliano e Scampia si è sviluppato il mercato più grande e redditizio d’Europa per quanto riguarda il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti.
Così quando nel quartiere sono iniziate a girare certe voci il clan Bocchetti non ha potuto far finta di niente. Gennaro Sacco aveva dato il via ad una gestione troppo personalistica del sodalizio. Non giravano più tanti soldi dalle piazze di spaccio, non venivano più garantite le “mesate” alle famiglie con detenuti a carico e poi la ciliegina sulla torta: Gennaro Sacco era diventato un confidente della Polizia e nello specifico del capo della Squadra mobile di allora Vincenzo Pisani. Inoltre in quegli anni l’organizzazione si era resa sempre più indipendente e autonoma dai Licciardi, avendo stretto un alleanza con gli Amato–Pagano, i Lo Russo (I Capitoni di Miano) e i Moccia di Afragola (quest’ultimo legame ha rappresentato la capacità del sodalizio Sacco–Bocchetti di potersi espandere anche in Provincia). Tutti aspetti che li avevano, invece, allontanati e resi nemici del clan Di Lauro. I giudici della Corte d’Appello di Napoli Domenico De Stefano, Maria Delia Gaudino e Paola Cervo (rispettivamente Presidente e Consiglieri del Collegio giudicante), all’interno di una sentenza del 17 ottobre 2016 giunta alla fine di un processo contro il clan Sacco–Bocchetti, hanno affermato: “…tale associazione camorristica, un tempo alleata strettamente al clan Licciardi, quasi in rapporto di immedesimazione organizza, entrava i conflitto armato proprio con quest’ultimo clan, conflitto avviato dall’omicidio di Grimaldi Carmine, detto ‘Bombolone, posto in essere (il 18 luglio 20078) per impadronirsi delle piazze di spaccio San Pietro a Patierno di cui il clan Grimaldi era responsabile. L’associazione, inoltre, entrava in conflitto armato con il clan Di Lauro per impadronirsi delle piazze di spaccio della zona c.d. del Perrone di Secondigliano, previo accordo con gli scissionisti di Secondigliano (clan Amato-Pagano).
Quindi non c’era nessun’altra soluzione se non una e soltanto: la morte. Per questo duplice delitto, il 21 novembre del 2014, sono state eseguite le misure cautelari in carcere a carico di Ciro Bocchetti, Stefano Foria, Paolo Murolo, Ciro Casanova e Salvatore Criscuolo. Tutti i provvedimenti sono stati autorizzati dalla DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) locale su disposizione della Procura di Napoli. A quel punto, anche grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, gli inquirenti hanno iniziato a fare luce sulla vicenda, riuscendo ad intuire che la morte di Gennaro e Carmine Sacco era stata voluta dall’interno del loro sodalizio, dagli stessi Bocchetti. E proprio ieri a Ciro Bocchetti è stata confermata in appello la pena all’ergastolo per entrambi gli omicidi. Bocchetti è accusato di essere stato il mandante di uno degli agguati più significativi della storia della camorra.