di Kamalei von Meister
E di colpo il ritorno di Salvatore Emblema, un artista eclettico e multiforme. Dalla mostra ( la piu’ ampia dedicata all’artista ) al museo di Capodimonte alla Haus Konstruktiv di Zurigo, continua ad attirare un gran pubblico nella apprezzatissima Galleria di Fonti ( Via Chiaia n. 229).
Molto stimato dal critico Vittorio Sgarbi che, come è risaputo, predilige l’arte classica a quella contemporanea.
E di colpo al vernissage di Emblema arriva anche Diana Segantini, l’arci/nipote di Giovanni Segantini, l’illustre paesaggista svizzero. Diana è una grande influencer dell’arte contemporanea, master in dieci lingue e consulente di progetti museali in corso in Arabia Saudita.
Il gallerista napoletano Giangi Fonti presenta l’itinerario artistico di quello che diventerà uno dei maestri storici dello Spazialismo e la sua vocazione se la porta scritta nel cognome.
Eccoli gli Emblema cult degli anni ’90. Tele in canapa solcate da tessiture sottili e lineari. Salvatore Emblema, nasce povero, muore ricco. I figli e la moglie raccolgono la sua eredità creativa e spirituale. Le sue umili origini contadini, figlio del dopoguerra, sono il tratto distintivo della sua opera. Inconfondibile.
Assorbe, scarta, rielabora, impasta colori e materia Un piede nella classicità e l’altro lo affonda nel paesaggio rurale vesuviano. Affronta ante-litteram il problema dell’ambiente e, proprio ai suoi inizi, nel 1948, esegue una serie di collages usando foglie disseccate, pietre e minerali raccolti alle falde del Vesuvio. Il suo è un magma in continua evoluzione. Da vedere assolutamente.

