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“Locus iste” di Jan Lotichius: ci troviamo di fronte ad un ‘Giallo metafisico?’

“Locus iste” di Jan Lotichius

Parliamo di un ‘Giallo metafisico?”

Innanzi, abbiamo una gran varietà di personaggi in movimento, da due diverse epoche. Il lettore in primo momento, fa fatica e si confonde, ma poi si affeziona e non capisce.

Adam, un giovane orfano, viene adottato da una famiglia benestante della Polonia degli anni ’30: in questo contesto presenta il suo piano evolutivo: da piccolo borghese viziato, impotente e antisemita si riscatta moralmente con il nascondere un gruppo di ebrei che diventerà la sua vera famiglia.

Andrea, un ragazzino di 16 anni con un padre del tutto assente, ritrova il nonno, l’unica certezza della sua vita, morto nel suo appartamento in quel di via Tuscolana, nella Roma del terzo millennio. L’adolescente sta per perdersi in modo definitivo nell’oscuro tunnel della rabbia e del nichilismo, ma poi incontra Camilla, una sua coetanea devota alla dea Kalì.

Franca è una donna vedova, ma felice di poter realizzare il suo grande sogno: scrivere un romanzo nell’isolamento totale di una società rurale dell’Abruzzo che, non subisce alterazioni al passare del tempo e all’evolversi del nuovo millennio.

Gli altri personaggi si muovono attorno a questo romanzo: il lettore non potrebbe affezionarsi a loro se non gli fosse dato uno sguardo che va oltre le maschere che questi indossano. Una percezione di umanità in crisi, ferita, alla ricerca di una vera famiglia e di un luogo che rallegra l’animo in cui si possa trovare la cura definiva dai proprio ricordi dolorosi. E’la stessa sofferenza a intensificare quella ricerca di spiritualità.

Un punto saliente è quello dello scrittore enigmatico, che più che scrivere, pare sognare i personaggi e le loro vicende. Li rende a loro insaputa, parte della sua coscienza unificante. La sua creatività letteraria si manifesta dando un’impronta del tutto gerarchica: detta intrecci al nostro Adam che, morto ad Auschwitz, dall’aldilà rimane in contatto con la sua famiglia acquisita, seguendola anche nel post morte, in una sua successiva incarnazione. Da spirito non esente di passioni, si finge l’angelo custode di Franca, verso cui prova un forte sentimento d’amore. Lei, nella solitudine della sua fattoria, scrive ciò che gli viene ‘dettato’ nell’orecchio destro, ritenendo con felicità – ma sbagliando – che quello che prende forma sia il suo romanzo

Questi personaggi vivono, muoiono e rinascono per noi, dando emozioni e spunti di introspezione. Viene fornita un’occhiata in quel cupo mondo adolescenziale, composto da immagini fasulle, lotte di potere e drammatici amori, dove il riscatto morale dovrà esser raggiunto dal personaggio principale del testo, ovvero Andrea: anche lui alla ricerca della purezza primordiale di un posto felice.

Paradossalmente, la vedovanza per Franca è il periodo più felice della sua vita. Tuttavia è costretta a difendere il suo segreto romanzo contro i vari attacchi, invidie e controlli sociali dei sui familiari e dei suoi compaesani. La donna vive la solitudine come farebbe una strega e, come tale, si difende contro i nemici, regalandoci alcune delle scene più allegre di tutto il testo.

Adam riesce finalmente a liberarsi della sua stessa maschera solo quando compie la scelta eroica – ascoltando ‘un fastidio nel cuore ‘ – di opporre una segreta resistenza nei confronti dei nazisti che gli occupano casa. Le sue descrizioni del ghetto di Varsavia danno un vero e proprio sapore tragico al libro. Tuttavia, lì avviene la svolta: da erede di un enorme patrimonio compie un sacrificio che, con tutta probabilità, gli farà perdere la vita.

Ecco che il lettore inizia a capire cosa è che unisce tutte queste storie umane così diverse tra loro, nello spazio e nel tempo. Intuisce che la stessa umanità pesa come una maschera su delle anime che muoiono in un’avventura e rinascono in un’altra. Un vero e proprio giallo metafisico.

Concludo facendo riferimento ad uno dei momenti più intimi del libro, quello in cui Adam, divenuto spirito invisibile, ci racconta la routine della sua amata Franca che, armata della sua penna, scrive nel grigiore della sua fattoria:

E così il lettore comincia a intuire che cos’è che lega tutte queste vicende umane così lontane tra di loro, nel tempo e nello spazio. Comincia a capire che l’umanità stessa pesa come una maschera su delle anime che muoiono in un’avventura e si reincarnano in un’altra. E come se si trattasse di un giallo metafisico, ci si può chiedere: chi è chi?

Finisco citando un passaggio intimo nel romanzo, in cui Adam, ormai spirito invisibile, ci racconta la routine della sua amata Franca, che scrive nella solitudine della sua fattoria:

“Questa donna, la mattina, si sveglia alle cinque. Per prima cosa deve far ripartire la stufa a legna in cucina e lo fa aprendo la valvola del camino e aggiungendo nuova legna. Poi, per risparmiare gas, esercita la sua pazienza e si fa il caffè sulla stufa. Il latte non lo beve (Orietta spesso gliel’ha rimproverato), ma zucchera il caffè e ci intinge tre o quattro biscottini. Io, a volte, vedendola seduta lì alla tavola in cucina, non resisto e mi metto seduto anche io, sulla sua spalla destra, ma mai per lungo tempo. Mi accorgo che non gradisce, che con quel peso si sente pressata a scrivere per così tanto tempo, che non avrebbe più una vita umana, fatta di premure per gli animali e per le piante, per i figli, fatta di sforzi per risparmiare denaro, di pasti da preparare e una casa da pulire. Devo stare attento, io, a non dimenticare che la sua è una vita umana, di sforzi e fatiche, mentre io, invece, me ne sto beato in stand by, qui, nel mondo astrale”.

Recensione libro