“Questa volta inizio con le accuse. Simone il 3 novembre del 2020 è stato ucciso qui da tre delinquenti assassini, chi uccide mio figlio non è solo chi usa l’arma. E’ stato ucciso dall’indifferenza di chi ha visto e non ha fatto nulla per fermare tutto questo. E’ stato ucciso da chi girava video mentre mio figlio veniva brutalmente assassinato. Da chi ha fatto foto dall’alto mentre mio figlio era qui steso a terra, è stato ucciso anche da voi, dalla vostra indifferenza“. Inizia così il discorso di Natascia Lipari al termine della fiaccolata, tenutasi lo scorso 3 novembre, in occasione dell’anniversario dell’omicidio del figlio Simone Frascogna, ucciso a coltellate a 19 anni. All’iniziativa, svoltasi al termine di una messa in memoria di Simone celebrata nella chiesa Maria S.S. Annunziata, hanno partecipato tanti giovani, gli amici del 19enne che ancora oggi faticano a realizzare quanto accaduto.
Natascia da quella sera del 3 novembre, quando l’è arrivata la telefonata che le diceva cosa era accaduto a suo figlio, uscito per trascorrere una serata con gli amici e mai più tornato a casa, non ha mai smesso di combattere. Combatte affinché il figlio ottenga giustizia, combatte affinché quanto accaduto a Simone non capiti ad altri ragazzi, affinché la sua sofferenza non debba provarla nessuna altra madre. “Io sono Natascia, io sono la mamma di Simone – ha gridato forte Natascia davanti al luogo in cui suo figlio è stato accoltellato a morte – io combatto per la giustizia, ma per voi, perché la giustizia mio figlio non me lo riporta indietro”.
Non si definisce una madre coraggio, come la chiamano le tante persone che ha conosciuto in questa dura battaglia che affronta ogni giorno da un anno: “La mia battaglia è per voi – continua Natascia – è per i ragazzi giusti. La mia battaglia non si fermerà mai (…). Il 3 novembre io sono stata uccisa insieme a mio figlio, io non sono una mamma coraggio, sono una mamma giusta che combatte per i vostri figli, perché il mio me l’hanno ucciso, a casa non torna più“. Eppure una madre coraggio lo è, Natascia è una madre che dalla tragedia che ha colpito lei e la sua famiglia è riuscita a trovare una forza straordinaria per non vanificare quel ‘sacrificio’ di Simone, quando per difendere l’amico Luigi è stato colpito con sette coltellate brutalmente a morte. “Quella sera – racconta Natascia – se il mio Simone non fosse intervenuto per difendere Luigi, quella sera gli omicidi sarebbero stati due“.
Non vuole sentire più di altri giovani vittime innocenti, di ragazzi, di persone, che escono di casa senza più far ritorno a causa di una violenza inaudita che non si ferma davanti a nulla. “Simone non deve essere dimenticato, non sarà mai dimenticato. Io sono la mamma, io sopravvivo su questa terra, perché una mamma non può accettare questo. Non c’è dolore più atroce. Una mamma giusta – ha ribadito Natascia al margine della fiaccolata – combatte per le cose giuste e io lo farò, affinché ci sia un cambiamento. Affinché nel nostro Paese si potrà uscire liberi, uscire per divertirsi e tornare a casa (…)“.
Ed è da questa desiderio, di un Paese migliore e senza più violenza, che Natascia assieme ad altre donne, che come lei hanno perso un figlio, un marito o una persona cara brutalmente, prende la forza per continuare la sua lotta giorno dopo giorno. Nonostante il dolore che da quel 3 novembre le ha lasciato un vuoto incolmabile, la madre di Simone non si tira indietro, ha scelto di partecipare a ogni udienza del processo per l’omicidio del figlio – i due minorenni coinvolti, T.F. e B.C., sono stati condannati rispettivamente a 10 anni e 6 mesi e a 7 anni e 2 mesi, mentre l’11 novembre si terrà la prossima udienza a carico di Domenico Iossa – perché anche se riascoltare cosa è accaduto quella terribile sera equivale a gettare sale su una ferita aperta, vuole essere lì per Simone.
Natascia è una madre coraggio, o come preferisce dire lei una madre giusta, una madre che dovrebbe essere un’ispirazione per l’insegnamento di quei valori, che se trasmessi ai più giovani potrebbero, assieme chiaramente ad attività socio-pedagogiche e all’impegno di scuola e istituzioni, porre fine a questa escalation di violenza. “Se aveste insegnato il rispetto alla vita ai vostri figli – ha concluso Natascia – il mio Simone io lo avrei ancora a casa“.
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