Il 10 giugno del 1981 il piccolo Alfredo Rampi, sei anni, rimane intrappolato nelle profondità di un pozzo a Vermicino (Roma). Colpito dalla notizia, Angelo Licheri, un semplice fattorino, si presenta volontario per farsi calare nel buco.
“Mi sono presentato e ho detto: io vengo da Roma, se possibile vorrei rendermi utile. Pastorelli (allora capo dei vigili del fuoco di Roma, ndr) mi chiese: lei soffre di qualcosa? Ha mai avuto… Senta (lo interruppi), non mi dica nulla, mi lasci solo scendere. Appena sceso ho toccato le mani del bambino, con un dito gli ho pulito la bocca e poi gli occhi per farglieli aprire, però lui è rimasto così (immobile), rantolava”.
“Parlavo e lavoravo per liberare la mano per poter infilare l’imbracatura: ‘Quando usciamo di qui ti compro una bicicletta – gli promettevo – i miei bambini ce l’hanno, giocherete insieme. Quando era pronto ho intimato: ‘tiratemi su!’. Loro hanno dato uno strattone e il moschettone si è sganciato, allora ho provato a prenderlo sotto le ascelle ma anche allora davano degli strattoni impossibili. Alla fine ho provato a tirarlo dai polsi. Ho sentito ‘track’, lui neanche si è lamentato. Gli spezzato il polso sinistro. Mi sono quasi sentito in colpa: ‘ha già tanto sofferto e ora sono arrivato io per rompergli anche il polso’. Ho fatto l’ultimo tentativo, l’ho preso per l’indumento, ma è caduto. Alla fine ho mandato un bacio e sono salito su.
La vita dopo la morte di Alfredo Rampi
Una vita di tormenti: “Per anni ho sognato la morte con la falce e la mezza luna, mi sfidava io le dicevo, se vuoi Alfredino dovrai passare su di me”.”Eroe? Non lo sono mai stato. Sono una persona che ha fatto di tutto per aiutare un bambino”.