Se fossi stato il carabiniere e avessi avuto una pistola, non saprei dire – a mente fredda – se l’avrei usata. Se fossi stato Ugo Russo e ne avessi avuta la possibilità, forse non avrei deciso di compiere una rapina. Se fossi il carabiniere starei male: nel tentativo di difendere me e la mia fidanzata da due rapinatori, ho tolto la vita a un 15enne. Se fossi i genitori di Ugo Russo sarei morto due volte, una per la perdita di mio figlio e l’altra perché avrei per tutta la vita un rimpianto: quello di non aver fatto abbastanza per lui. Ma con i ‘se’ e con i ‘ma’ non si va avanti, spesso la realtà si presenta davanti a noi in modo crudele.
Proprio per questi motivi e per l’estrema delicatezza della situazione, più che mai sarebbe opportuno che istituzioni e autorità giudiziaria chiarissero al più presto ciò che è accaduto quella maledetta notte. È ormai passato un anno e le persone coinvolte sono sospese in un limbo. Come una pena già inflitta e senza fine. Ognuno con i propri demoni e il proprio dolore. Eppure c’è chi continua a sciacallare sulla vicenda, dispensando giudizi e sentenze.
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Politici in cerca di visibilità e consenso, colleghi della stampa pronti a cavalcare l’onda emotiva dei fatti, cittadini che si schierano come tifosi etichettando persone senza neanche conoscerle. Così, una tragedia che dovrebbe unire e porre questioni da risolvere (ad esempio, l’allarme sicurezza e illegalità o il degrado sociale, culturale ed economico di tanti quartieri di Napoli), tende a dividere e lacerare l’opinione pubblica.
Ecco come la morte di un 15enne è diventato il campo di battaglia di chi afferma, rispetto sia ad Ugo che al militare: “Se l’è cercata“, “carabiniere assassino“, “dove erano i genitori?“, “omicidio di Stato impunito“, “potevano pensarci prima“, “hanno la licenza di uccidere“, e potremmo continuare all’infinito.
Parliamoci chiaro: gli unici che possono esprimersi su questo dramma sono magistrati e giudici. Spetta a loro accertare – appunto – verità e giustizia. Saranno loro, prove alla mano, a dimostrare se il carabiniere si sia difeso o abbia commesso un omicidio. Ma facciano presto, dopo 365 giorni non è stato reso pubblico neanche l’esito dell’esame autoptico: una vergogna. Come se ci fossero vittime e carnefici di Serie B. La giustizia non dovrebbe essere uguale per tutti? S’indegnino, sia i ‘sostenitori’ del militare che quelli di Ugo.
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Legittimamente si parla del murale dedicato al 15enne. Un’opera di street art autorizzata dalle istituzioni diventata un’arma di distrazione di massa. C’è una Costituzione, c’è la legge e c’è il diritto – dovere di tutti noi, di fronte ad esse, di praticare e ottenere la verità. I discorsi collaterali lasciamoli ai sociologi, agli operatori sociali, agli intellettuali, ai politici, agli opinionisti. Le prediche lasciamole agli uomini di fede. L‘etica e la morale lasciamole a chi può davvero permettersele. Se non si vuole comprenderle, si abbia almeno la dignità di rispettare le persone travolte da questa violenza. Che ha colpito tutti, senza avvisare nessuno.
“Chi tra voi è senza peccato scagli la pietra per primo“, Vangelo secondo Giovanni: 8,3; “Non giudicate, per non essere giudicati“, “Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?“, Vangelo di Matteo, 7, vv. 1-5. È proprio vero che le storie come quella di Ugo Russo, se non fosse per chi le racconta in modo obiettivo stando vicino alle persone coinvolte, rappresentano la morte del messaggio evangelico e cristiano. Ad ucciderlo, magari, sono molti di quei cattolici che la domenica affollano le chiese per ascoltare la messa.
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