Molte lacune nelle indagini per l’omicidio di Marco Vannini. Il giudice della Corte d’Appello bis nella sentenza con cui ha condannato per omicidio volontario nei confronti dell’intera famiglia Ciontoli – 14 anni al padre e 9 anni e 4 mesi alla madre e ai due figli per concorso anomalo – ha evidenziato come non si potrà stabilire l’esatta dinamica di quanto accaduto in casa Ciontoli.
Motivazioni nella sentenza per l’omicidio di Marco Vannini
L’unica certezza è che Marco Vannini è stato sparato, ma non sarà possibile ricostruire con precisione la dinamica che ha portato alla sua uccisione. Questo è quanto scritto dal giudice, che ha sottolineato le diverse lacune che ci sono state durante le indagini. Prima tra tutte il mancato sequestro della villa Ciontoli, il luogo dove Marco è stato ucciso. L’abitazione sarebbe dovuta essere sequestrata, invece gli imputati hanno continuato ad accedervi. Inoltre non ci sarebbe stato reperimento delle tracce del reato, come i pochi residui di sangue trovati nel bagno. Anche i vestiti del ragazzo non sono stati sequestrati, bensì lavati e stirati a due mesi dal delitto.
Proprio a fronte di queste lacune era stato chiesto un intervento de Consiglio superiore della Magistratura che valutasse le indagini del pm, che successivamente erano state definite “accurate”: “Non solo non sono state omesse le doverose attività di indagine, ma nessun danno ingiusto è stato arrecato ai parenti delle vittime – scriveva il Csm – perché il materiale probatorio offerto ai collegi giudicanti di primo e secondo grado era completo e idoneo a una compiuta valutazione del fatto, a prescindere dalla qualificazione giuridica effettuata dai giudici”.
Omicidio Vannini, la posizione di Martina
I giudici inoltre tra le motivazioni scrivono che: “L’unico in grado di porre in crisi la costruzione di un omicidio per colpa era Marco Vannini ed ecco perché il suo decesso, in termini di mera convenienza personale, era da preferire alla sua sopravvivenza”. Si aggiunge poi la posizione di Martina, all’epoca fidanzata di Marco, che per i giudici era in bagno al momento dello sparo: “Invece di intervenire per aiutare Marco – si legge ancora nella sentenza – aiuta il padre a depistare le indagini, contribuendo ad avvalorare la versione da lui fornita”.