“Questo virus è davvero malefico, io grazie a Dio e ai medici sono vivo…”. A parlare in un lungo post su Facebook è Luca Cacchiarelli, 40enne di Sutri, in provincia di Viterbo che ha vinto la sua battaglia contro il Coronavirus. Ai social ha voluto affidare la sua testimonianza. Luca ce l’ha fatta. E’ guarito.
Ed è direttamente lui a raccontarlo: “Chi mi conosce – scrive – sa la mia timidezza e che non amo stare al centro di attenzioni ma sento il dovere morale di scrivere questo post per scongiurarvi di seguire alla lettera le regole per limitare i contagi perché il Coronavirus colpisce tutti, giovani compresi, ed è davvero dura superarlo indenni”.
Il 4 marzo comincio ad avere i primi sintomi (dolore alle ossa e senso di spossatezza). Dal 6 marzo ho febbre alta, di cui si prende cura quella santa donna di mia moglie Teresa Salvitti, ad oggi positiva anche lei, ma asintomatica, somministrandomi tachipirina che abbassa leggermente la temperatura per qualche ora.
Mi fanno il tampone dopo una settimana e prima che mi diano i risultati il 14 marzo ho la prima crisi respiratoria.
Mia moglie chiama il 118 e mi portano al pronto soccorso di Civitavecchia. Alle tre di notte mi dimettono e ritorno a casa. All’ora di pranzo del giorno dopo arriva la risposta del tampone: positivo. Dopo cena mi telefonano e mi dicono che mi ricoverano immediatamente allo Spallanzani.
La mattina seguente la tac conferma una brutta polmonite da covid. Iniziano la terapia, io respiro attraverso l’ausilio di ossigeno, che piano piano aumentano di intensità. I primi giorni di cura non danno l’esito sperato, i medici e gli infermieri continuano a incoraggiarmi”.
Continua Cacchiarelli nel post: “Non dimenticherò mai il primario che ad ogni visita mi incoraggia, stringendomi la mano e accarezzandomi il braccio e sussurandomi che ce la farò (una persona stupenda come tutti i medici, gli infermieri e il personale dello Spallanzani).
Ogni volta piangevo sia per la paura di non farcela sia perché mi riportava alla mente gli ultimi giorni di vita di mio padre con io che continuavo a stringergli la mano ed accarezzarlo. Per verificare il grado di ossigenazione dei polmoni due volte al giorno ti bucano le arterie, e fa davvero male, ma la mia disperazione mi spinge pure a sopportare senza fare un fiato (io sono un fifone con gli aghi).
La terapia procede e dopo una settimana stabilizza i valori ma non migliora l’ossigenazione”.
E ancora: “Le giornate sono interminabili, la notte non riesco a dormire e lo stato di tensione mi porta ad avere crisi di panico ogni volta che mi rilasso e tento di dormire. Riesco ad addormentarmi ogni notte solamente dalle 5.30 alle 7 circa per sfinimento. Poi arriva la svolta.
Domenica pomeriggio decidono di somministrarmi sotto cute la terapia sperimentale per l’artrite reumatoide. Il primario mi spiega che questo tipo di somministrazione ci impiega due giorni ad iniziare ad avere gli effetti sperati. Ed è così. Il primo giorno il risultato dell’emogas non è confortante. Ed io continuo a trasmettere pessimismo a mia moglie, i miei fratelli e a tutti coloro che mi sono stati vicino che ringrazio di cuore.
Dopo due giorni la situazione inizia a migliorare, mi riducono leggermente l’ossigeno. Il giorno successivo le condizioni continuano a progredire. Ieri mattina passa il primario e mi dice: oggi torni a casa. La guarigione completa (tac completamente pulita) avverrà fra una mesata ma ormai stai bene. Mi toglie l’ossigeno e respiro completamente con i miei polmoni. Non potete minimamente immaginare la mia gioia che si manifesta anche con lacrime che per minuti scendono copiose sulle mie guance.
Ora la convalescenza per guarirmi completamente sarà lunga ma ormai sono ritornato a respirare autonomamente ed è bellissimo”.
E alla fine della lunga testimonianza, la raccomandazione: “Atteniamoci alle disposizioni per evitare di aumentare i contagi e purtroppo anche i morti. Questo virus è davvero malefico, io, ringraziando Dio e i medici e gli infermieri dello Spallanzani, sono vivo, ma tante persone, anche giovani, non ce l’hanno fatta purtroppo”.
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