Era il 31 dicembre 2015, siamo a Forcella quartiere storico di Napoli ma anche zona vittima di dinamiche criminali. È recente la faida di camorra tra quella che è stata poi definita la Paranza dei bimbi (i giovanissimi Sibillo insieme agli eredi dei Giuliano) e il clan Buonerba (costola dei Mazzarella per il controllo del centro città).
L’AGGUATO – Maikol Russo usciva di casa diretto a piazza Calenda. Lui e la sua famiglia erano pronti a salutare l’anno in corso e festeggiare l’arrivo del nuovo. Ma due uomini a bordo di uno scooter arrivarono all’improvviso e esplosero diversi colpi d’arma da fuoco che stroncarono la vita del giovane.
In suo onore, proprio in quello slargo, è stato piantato un ulivo. Eppure, a 5 anni di distanza dalla tragica vicenda, non solo il delitto è rimasto irrisolto ma lo Stato non ha ancora riconosciuto i benefici che spetterebbero alle vittime innocenti di camorra.
L’APPELLO – A lanciare l’appello, sulle pagine del Mattino, è stata la moglie Angela rimasta vedova giovanissima (oggi ha 29 anni) e con due figli da crescere. Lei e Maikol si sono conosciuti da ragazzini e subito hanno progettato, tra mille difficoltà, una vita insieme basata sul lavoro onesto e la famiglia.
Poi il trauma del 2015. “Mio marito è stato ucciso a Forcella il 31 dicembre del 2015. Allora in quelle strade si sparava continuamente, ma lui, il mio Maikol, non c’entrava niente con quella che hanno chiamato la faida dei bambini. È una vittima innocente e quest’anno per ricordarlo è stato piantato un ulivo proprio dove lo ammazzarono. Ma io e i miei bambini non abbiamo ottenuto nessuno dei benefici previsti dalla legge. Perché, bisogna ammetterlo, ci sono vittime di serie A e vittime di serie B“, ha raccontato al quotidiano.
MAIKOL E ANGELA – “Avevo diciassette anni quando ho conosciuto Maikol, a venti anni già avevo un bambino e a 23 ne avevo due. Lui da ragazzino aveva sbagliato ed era stato anche a Nisida, ma poi per me e per i nostri figli aveva fatto di tutto, tranne che cose disoneste. Aveva studiato da pizzaiolo e aveva ottenuto un diploma. Era andato a lavorare in America e poi in Germania dove era stato assunto in una fabbrica di automobili: come operaio guadagnava più che come pizzaiolo. Io volevo raggiungerlo, ma lui non ce la faceva a stare lontano. Tornò a casa e cominciò a vendere i calzini per mandare avanti la famiglia. Quel giorno mio marito era contento, aveva guadagnato bene. Venne a casa ad ora di pranzo, io ero pronta per avviarmi da mia madre e lui mi promise: Avviati, saluto gli amici e vengo. Non l’ho più visto in vita“, ha affermato Angela.
LA LEGGE – Esiste una legge, la 122, che riconosce un beneficio alle vittime innocenti per mafia, a causa del terrorismo o per un decesso avvenuto durante l’esercizio del proprio dovere. Si tratta di un vitalizio, di circa 500 euro al mese, e un indennizzo di circa 150mila euro.
Per ottenerlo bisogna rispettare specifici parametri, tra cui dimostrare l’estraneità all’omicidio e di non avere familiari fino al quarto grado di parentela coinvolti in vicende criminali (per il terrorismo i gradi sono due).
Alla famiglia di Maikol, che ancora non ha avuto neanche le borse di studio per i due figli, non resta che aspettare che sia pronunciata una sentenza relativa al caso in questione. E cioè che i fatti passino in giudicato. A maggior ragione non è possibile fare previsioni sulle tempistiche.
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