Antonio, malato e chiuso in cella. Ioia: “La sanità in carcere è una tragedia”

La moglie di Antonio mi ha contattato per segnalarmi le gravi condizioni del marito. Per me, purtroppo, non è una novità. Sono tantissime le segnalazioni che ricevo in merito ai casi di mala sanità che avvengono dentro le carceri“, a parlare è Pietro Ioia, ex detenuto ed attivista per i diritti delle persone private della libertà.

Il tema è la sanità penitenziaria argomento importante sul quale è sempre poca l’attenzione riservata da parte dei media. Antonio, 45 anni con moglie e 5 figli, è recluso presso il carcere di Caltanissetta. La sua storia ha avuto inizio lo scorso anno quando ha subito un’operazione alla colonna vertebrale.

Poi, a gennaio, è scattato l’arresto e a settembre è giunta la brutta notizia: Antonio potrebbe essere affetto da un brutto male alla gola. In quei giorni era detenuto presso il reparto sanitario del carcere di Secondigliano. Il 45enne, da qualche giorno, ha iniziato una protesta culminata con lo sciopero della fame e della sete. L’obiettivo è quello di ottenere il permesso per sostenere i dovuti accertamenti medici.

Ad oggi, “a Poggioreale c’è la situazione peggiore – ci ha raccontato Ioia – in quello che io chiamo ‘Mostro di Cemento’ la sanità rappresenta un vero e proprio disastro“. Ma non è solo un problema di mala sanità, secondo Ioia: “Gli amministratori dei penitenziari non hanno risorse a sufficienza per gestire bene tutti i casi. Mancano soldi, strumenti e personale“.

Il bollettino è tragico anche dal punto di vista delle strutture: “Nell’Area Metropolitana di Napoli, dove ci sono 4 penitenziari (Poggioreale, Secondigliano, Pozzuoli e Nisida, ndr) esiste un solo reparto ospedaliero: il Padiglione Palermo presso l’ospedale Cardarelli. Per andarci devi praticamente essere in fin di vita visto i pochi posti disponibili. Tutti gli altri detenuti – ha continuato Ioia che hanno bisogno di cure devono aspettare l’infinito per poter essere trasportati presso un nosocomio. E in quel caso c’è bisogno della scorta e del personale che possa piantonare il detenuto ricoverato“.

Questo contesto, in contrasto con due diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana (quello alla salute e l’articolo 27), rende anche difficile e più impegnativo il lavoro degli agenti della Polizia Penitenziaria: “Già soffriamo la piaga del sovraffollamento. Già siamo in pochi, rispetto a quanti agenti dovrebbero esserci in un carcere. Da molti anni dobbiamo gestire anche situazioni riguardanti la sanità“, ha affermato Ciro Auricchio, Segretario regionale dell’Unione Sindacato Polizia Penitenziaria (USPP).

Secondo la relazione presentata lo scorso anno dalla Simspe (onlus Sanità Penitenziaria), contenuta in un rapporto redatto e inviato alla Corte dei Diritti dell’Uomo (CEDU) dal Partito Radicale, ci sono alcuni dati davvero allarmanti: “Il 60-70% dei detenuti soffre di patologie psicologiche oltre che fisiche. Spesso l’una è una conseguenza dell’altra. Sono diversi i fattori che incidono su questa drammatica situazione. Ma le conseguenze – ha dichiarato Luciano Lucania Presidente della Simspe Onluspossono anche essere quelle di comportamenti violenti e autolesionistici. Senza contare la piaga delle malattie infettive: dal 30% al 38% dei detenuti ha gli anticorpi del virus dell’epatite C, di questi il 70% ha il virus attivo. Un detenuto su tre, circa 25 30mila carcerati, avrebbe bisogno di essere curato con nuovi e specifici farmaci“.

redazione

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