Sette anni diventati cinque e qualche mese grazie alla liberazione anticipata. Tanto è durata la detenzione di Marcello Dell’Utri, ex manager di Publitalia condannato per concorso esterno in associazione mafiosa dai giudici di Palermo. Domani finirà di scontare la sua pena e tornerà un uomo libero. Da luglio 2018, per motivi di salute, era ai domiciliari nella sua casa di Milano.
L’espiazione della condanna, che nel 2014 la Cassazione rese definitiva, non chiude però i conti con la giustizia dell’ex senatore Azzurro. È ancora aperto il processo per la cosiddetta trattativa Stato-mafia che in primo grado gli ha portato la pesantissima pena di 12 anni. E restano le accuse di peculato, ricettazione e appropriazione indebita, a Napoli (RPT Napoli), legate alla scomparsa di alcuni (RPT alcuni e non migliaia) libri antichi.
Dopo una condanna per falso in bilancio nel 1987, Dell’Utri finisce sotto inchiesta a Palermo, nei primi anni ’90, per concorso esterno in associazione mafiosa. Un’accusa che si trascina per vent’anni circa, con in mezzo due processi d’appello, e si conclude col sigillo della Cassazione che accerta in modo definitivo i suoi rapporti con la mafia palermitana dal 1974 al 1992. Alla vigilia della sentenza della Suprema Corte, l’ex senatore tenta la fuga in Libano per sottrarsi alla cattura.
Una latitanza di pochi giorni conclusa con la concessione dell’estradizione all’Italia. Poi il carcere: prima a Parma, in alta sicurezza, successivamente a Rebibbia. Infine, nel 2018, la concessione della detenzione domiciliare per motivi di salute. Per i giudici, Dell’Utri, avrebbe svolto un ruolo di ‘mediatore’ nel patto di protezione ‘siglato’ nel 1974 con la mafia da Silvio Berlusconi”. Un refrain quello dei suoi legami mafiosi e del ruolo di “cerniera” tra i clan e il Cavaliere, che torna anche nella sentenza di primo grado del processo sulla trattativa dove l’ex senatore diventa “portatore” della minaccia mafiosa presso l’allora premier Silvio Berlusconi e si prende 12 anni per minaccia a Corpo politico dello Stato.
Marcello Dell’Utri ha incassato contrattaccando. Scagliandosi contro certi pm, criticando aspramente l’impianto accusatorio, arrivando a dire di essere sceso in politica per evitare il carcere. Dell’amico Berlusconi, ritenuto da premier vittima della minaccia mafiosa, ma accusato negli anni di essere stato il referente politico di Cosa nostra dalla sua discesa in campo, non ha mai detto una parola. Un sodalizio lungo una vita il loro, forse incrinato negli ultimi tempi: quando il Cavaliere si è rifiutato di deporre in sua difesa al processo d’appello sulla trattativa.
Consigliato dai suoi legali, che temevano domande scomode dell’accusa, ha preferito tacere. Da domani Dell’Utri potrà riprendere una vita normale. Gli restano i due anni di sorveglianza speciale decisi nella sentenza di condanna e il conseguente obbligo di firma alla polizia. In attesa che si definiscano le altre vicende processuali.
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