Intervista a Francesco Di Leva: “Napoli mercato florido per cinema e teatro. Il Nest è resistenza”

Al momento è impegnato su entrambi i fronti con i quali un attore deve confrontarsi ogni giorno: il set di un film e il palco di un teatro. Francesco Di Leva è tra i protagonisti di “Delitto Mattarella“, pellicola diretta da Aurelio Grimaldi e che ha visto interpretare dal performer napoletano il ruolo di un esponente della criminalità organizzata romana legato all’estrema destra. Le riprese della pellicola, dalla durata di 5 settimane, sono state fatte a Castellammare del Golfo in provincia di Trapani. Ma allo stesso tempo Di Leva sta portando in giro per l’Italia lo spettacolo teatrale diretto da Pino Carbone: “Muhammad Alì“. Dopo l’esordio al Teatro Nuovo di Napoli, in questi giorni l’attore con addosso guantoni e accappatoio da pugile, ha fatto tappa a Salerno, Benevento e sarà a Roma al Piccolo Eliseo dal al 18 aprile. 

L’ho intervistato per VocediNapoli.it dopo averlo visto indossare i panni di personaggi come Antonio Barracano (in “Il sindaco del rione Sanità“), il ragioniere Casoria (in “Gli onesti della banda“), Otello e appunto Alì. Abbiamo parlato delle sue passioni, ovvero il cinema e il teatro, ma anche della grande esperienza del Nest (lo spazio teatrale di San Giovanni a Teduccio) e in generale di Napoli.

Napoli ancora protagonista ai David di Donatello. Cosa vuol dire fare cinema e teatro in questa città?

Napoli negli ultimi anni, grazie al lavoro di molti artisti, sta facendo il giro del mondo. Quello cinematografico e teatrale si è rivelato un mercato molto florido per la città. Al di la del David, con il lavoro della Film Commission e il sostegno delle istituzioni, da cittadino non posso che affermare di sentirmi felice per tutto questo. È evidente che a Napoli si sta investendo di più nel settore spettacolo rispetto al passato e ciò vuol dire che la città è diventata più attrattiva da questo punto di vista

Cosa pensi del fenomeno “Gomorra”?

Gli artisti hanno spesso il dovere di porre l’attenzione sui vari aspetti che costituiscono la realtà. Molti di questi sono purtroppo negativi. Al di la del prodotto cinematografico in se, il fenomeno va visto e analizzato rispetto anche al pubblico al quale è destinato. Insomma, rispetto al target di riferimento. Il dibattito che si è sviluppato intorno alla serie è dipeso dall’immaginario che abbiamo noi al Sud, di questi personaggi e delle dinamiche che essi rappresentano. Gomorra è stata vista in tutto il mondo e confrontandomi con realtà estere, tutto il clamore sulla positività o meno della narrazione non l’ho percepito. Del resto non vi è un solo protagonista della serie che sia sopravvissuto. Il discorso che ha riguardato l’enfatizzazione e l’emulazione di  certi personaggi c’è sempre stato nella storia del cinema. Si tratta del fascino incarnato dal cattivo di turno. Basta ricordare ‘Scarface’. In fondo il vero messaggio di Gomorra è: se scegli di fare questa vita hai poca scelta, andrai in carcere o sotto terra.

Quando hai capito che volevi fare l’attore e come hai iniziato?

In realtà non l’ho capito io ma delle persone che hanno visto in me qualcosa. Per questo oggi uno dei miei obiettivi è quello di impegnarmi affinché possa restituire in parte quello che ho ricevuto

Raccontaci l’esperienza del Nest

Si tratta di resistenza pura. Alì diceva che nella vita ci vogliono resistenza, abilità e volontà. Ma è quest’ultima a dover essere più forte. Tutto è nato dalla voglia di creare un qualcosa che produca bellezza. Chi ha contribuito a tutto ciò meriterebbe una medaglia. A me piace vedere il progetto anche da un altro punto di vista, quello della responsabilità. Spesso a Napoli molti cattivi comportamenti sono giustificati dal fatto di non avere alternative. Ecco, con il Nest molte persone hanno avuto la possibilità di poter scegliere quale strada intraprendere. Se oggi mi dicono, ‘Lo sai, ieri sera hanno sparato a San Giovanni’ , io posso rispondere, ‘ Si, ma c’era anche lo spettacolo al Nest’. Per me l’intera iniziativa ha dimostrato che il teatro può esprimere impegno sociale e civile rivolgendosi ad un pubblico popolare ma non populista. Ad esempio con ‘Gli onesti della banda’ abbiamo trasformato in teatro il piazzale della ’46’, il cuore del Rione Villa. Ecco, quello è stato un altro segnale, piccolo ma forte, dato alla camorra: questo spazio non è vostro. Io non ho la forza per combattere la criminalità organizzata a Napoli ma in modo astuto e grazie al mio lavoro posso fare qualcosa che potrebbe rivelarsi utile

Antonio Barracano, Otello, Muhammad Alì. Tre ruoli forti che hai portato in scena sul palco. Dal punto di vista dell’interpretazione cosa hanno in comune e di diverso?

Barracano e Alì si somigliano e si sommano. Il paradosso è che il primo è un criminale, l’altro è un atleta. Eppure, entrambi sono dei rivoluzionari. Il ‘Sindaco’ è un camorrista anomalo che vive la vita secondo un codice specifico di leggi. E fa di tutto affinché sia rispettato e in modo uguale per tutti. Ma alla fine Barracano si lascia morire. Alì in questo è diverso, lui amava la vita in ogni suo istante. Fino alla fine Alì ha voluto vivere. Ho impressa nella mia mente la scena alle Olimpiadi di Atlanta dove nonostante i suoi gravi problemi di salute, Alì ha voluto esserci accendendo la Torcia olimpica. Devo dire che mi è piaciuto molto interpretarli. Sono personaggi che amo. Ognuno ha delle sfumature particolari. Otello, ad esempio, è un debole. La sua forza è tutta apparenza. Si fa schiacciare dalla realtà e da chi gli sta vicino. In questo è diverso da Barracano e Alì che invece la realtà vogliono governarla. Tutti e tre i personaggi vivono grandi contraddizioni. Il ‘Sindaco’ quella tra i suoi ideali e il rispetto della legge. Alì quella che nasce dai dogmi dell’Islam e che lo portano anche ad avere pessimi comportamenti rispetto con le donne. Devo dire che quando ‘devo morire’ come sindaco mi dispiace. Invece sono felice ‘quando muoio’ da Alì. Otello, invece, si lascia soggiogare dalle persone e dagli eventi fino alla fine

Ti ho conosciuto grazie al film “Una vita tranquilla” di Claudio Cupellini e interpretato insieme a Toni Servillo e Marco D’Amore. Che differenza c’è tra il cinema e il teatro?

Il teatro è un patto, una comunione che si crea da subito con il pubblico. Con il cinema questo legame è interno e vissuto con il regista, i colleghi e i tecnici. Poi solo in seguito al pubblico sarà mostrato un prodotto finito. Il teatro lo vedo un pò come l’artigianato. Mi piace fare l’esempio dei cappelli, di cui io sono un collezionista. Spesso al loro interno vi è un’etichetta che dice: ‘Qui troverai delle imperfezioni’. Ed è questo il teatro, dove le imperfezioni rappresentano una ricchezza. Da attore cinematografico è ovvio che se hai la fortuna di lavorare con certi colleghi e registi, ti rendi contro di far parte di un vero e proprio processo artistico. Il problema è che spesso questo mondo non è fatto di meritoccrazia. Eppure, si dovrebbe sapere che questo contesto è realizzato dalle persone e non dalle poltrone

redazione

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