La fumarola più grande d’Europa, un super vulcano potenzialmente distruttivo e che dall’area Flegrea è collegato sotto terra fino al Vesuvio. Tanti chilometri che costituiscono la famosa “zona rossa“, ovvero quell’area critica e soggetta ad evacuazioni in caso di eruzioni.
Un territorio sempre sotto costante controllo da parte dell’Osservatorio vesuviano e dai geologi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) “C’è stata una grande eruzione circa 39.000 anni fa di grande impatto i cui prodotti sono stati ritrovati addirittura in Siberia“, queste le dichiarazioni riportate da Il Corriere del Mezzogiorno, di Vincenzo Morra, ordinario di petrografia all’Università Federico II di Napoli e coordinatore per la comunicazione della Società geologica italiana.
“Il vulcano va monitorato e va tenuta in considerazione la pericolosità elevata ma al momento è sotto controllo“, ha ribadito Stefano Caliri, primo tecnologo dell’INGV sezione Napoli. Per questo vi è un nuovo strumento che risulta fondamentale per il controllo e il monitoraggio delle attività sismiche e vulcaniche dell’area interessata.
Esso può prevenire i rischi e gestire le risorse anche se la carta geologica è ferma al 2000 per mancanza di fondi. “La cartografia può essere d’aiuto per capire ed interpretare quanto avvenuto nel passato e soprattutto a delineare quali possono essere vie preferenziali di risalita di questi fluidi, che vengono dal basso e che sono legati sicuramente a una camera magmatica che i ricercatori pongono a pochi chilometri di profondità. Attualmente, da un punto di vista di piano della Protezione civile ci troviamo in piena zona rossa. La zona rossa è la zona che dovrà essere evacuata per prima ove mai ci siano segnali importanti di possibili ed imminenti eruzioni. Tutti gli studi effettuati molti dei quali sono confluiti anche nella cartografia ufficiale, hanno portato ad avere nuove informazioni che hanno permesso di stabilire e di allargare la zona rossa anche su altre zone della città di Napoli come per esempio le municipalità delle zone collinari“, ha affermato Morra.
La mappatura della zona ha contribuito all’individuazione delle aree più a rischio in caso di eruzione. “L’Italia ha una carta geologica terminata che è la vecchissima carta geologica che ha iniziato ad essere prodotta prima della seconda guerra mondiale e poi ha un nuovo prodotto più dinamico che è la nuova carta geologica che viene aggiornata e viene realizzata ad una scala maggiore. Questa carta è stata iniziata nel 1989 ma è rimasta incompiuta per mancanza di fondi. Se voi andate dal medico vi fareste curare da un medico che si rifà alle conoscenze del 1950?“, queste le parole di Sandro Conticelli (ordinario di Petrografia e presidente della Società Geologica Italiana) riportate dal Corriere del Mezzogiorno.
“Le zone da coprire sono ancora molte e dell’anno 2000 non ci sono più finanziamenti su questo tipo di progetto e quindi la conoscenza del territorio si è congelata. I buchi nella carta geologica sono in zone che sono invece strategiche per il territorio come per esempio dove sono avvenuti i terremoti nel centro Italia nell’Umbria, nelle Marche e in Abruzzo. Il non aver avuto queste conoscenze hai impedito una fase di intervento addirittura in fase preliminare di pianificazione, che stiamo pagando ancora adesso”, ha invece affermato Fabrizio Berrà, ordinario di geologia all’università Statale di Milano.
“Il non avere conoscenze ci impedisce di sapere cosa c’è sotto e quello che c’è sotto è indispensabile per gestire i rischi e per gestire le risorse. Sicuramente si possono mitigare quelli che sono gli effetti naturali si può mitigare il rischio ma non senza la carta geologica che è l’ elemento di base”, ha concluso Conticelli.
IL VIDEO DEL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO –
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