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Detti napoletani: cosa significa l’espressione “Mannaggia ‘a Bubbà”

La lingua napoletana, come si sa, è piena di espressioni particolari che non sempre risultano comprensibili, e di cui a volte persino gli stessi napoletani ignorano l’origine. Fra i modi di dire più coloriti del napoletano spiccano certamente le imprecazioni, che tendono però ad essere rispettose delle figure sacre del cristianesimo: non è infatti mai contemplata la bestemmia (almeno in origine).

Per i napoletani era quindi necessario trovare qualcuno da maledire, in sostituzione alle divinità, quando qualcosa andava storto: la persona in questione è un certo Bubbà, una figura quasi mitica, grazie al quale è nata l’iconica espressione Mannaggia a Bubbà’. Secondo le credenze popolari, Bubbà sarebbe realmente esistito: un personaggio losco, attivo nei bassifondi della città e dedito ad ogni genere di attività illecita. Data l’impopolarità di cui godeva, Bubbà ha quindi assunto il ruolo di capro espiatorio, poiché se qualcosa di cattivo accadeva, si poteva esser certi che ci fosse il suo zampino.

Quanto all’espressione ‘mannaggia’, esistono due diverse teorie sulla sua origine. Secondo il saggista Luciano Galassi, ‘mannaggia’ deriverebbe dal napoletano “male n’aggia” (che riceva del male), mentre l’opinione del linguista Massimo Pittau è invece che la parola, come anche in calabrese e siciliano, derivi da ‘mannaia’ (dal latino manuarius), cioè una grossa scure usata dai boia per la decapitazione dei condannati a morte. Quando si dice mannaggia, insomma, si starebbe augurando al malcapitato (come il povero Bubbà) di essere decapitati.

Oltre ad essere un’espressione di uso comune a Napoli, ‘mannaggia a Bubbà’ è diventata celebre anche grazie ad Eduardo De Filippo e alla sua commedia del 1929, “Quei figuri di tanti anni fa”.