“Gli orti della Sirena” è una piccola odissea di persone normali che in epoche diverse hanno vissuto lungo le coste del Mediterraneo e le cui storie – in una sospesa alternanza dei tempi e dei luoghi – si intrecciano in un unico canovaccio a noi contemporaneo. Il tono è magico a volte e crudo altre, spesso ironico, altre volte malinconico, ma è sempre concentrato sulla necessità di raccontare la semplicità del bello e su quella – spesso smarrita – di cercare una armonia soggettiva.
Il miracolo di quest’ultima opportunità, invece, è offerto dalla meraviglia della natura che rende il Mediterraneo l’habitat unico che conosciamo. Una “sirena” nei cui “orti” sono stati coltivati – variamente tramandati e narrati – piante, cibi, lingue, sogni, viaggi, illusioni, avventure, storie. Alla fine, un’unica storia, raccontata in una lingua variegata – alta e bassa – pura e bastarda come la natura di ognuno di noi, che degli stessi incroci è figlio e testimone. Un universo di bellezza che si perde, e che pure è intorno a noi.
Per amarlo e salvarlo, basta osservarlo, non solo da una finestra o sulla riva del mare, ma anche guardando alla propria infanzia, ai nonni, ai genitori, ai compagni di gioco, alle parole delle nutrici e dei contadini, a quello che ci è stato raccontato e anche a quello che non abbiamo mai avuto il coraggio di dire… Ma soprattutto – costruendo futuro – a quello che vogliamo dire e lasciare ai nostri figli.
“Gli orti della Sirena” – intrecciato alfabeto della terra, dalla A di aglio alla Z di zagara – è un romanzo che aiuta a guarire dal male dell’indifferenza. E a volte a sorridere della nostra inadeguatezza. Il libro si snoda in un susseguirsi di vicende che si muovono tra presente e passato in un’oscillazione continua di ricordi e racconti. Il protagonista, Andreas, fa della sua voce narrante la bussola del romanzo. Giornalista, ormai anziano, ricostruisce una genealogia familiare e amicale che, capitolo dopo capitolo, si apre come una matrioska di personaggi e avventure, tutte intorno al mare e ai suoi profumi. L’atmosfera è fiabesca.
Persino gli avvenimenti storici più duri non si riducono a mera cronaca, ma finiscono per essere addolciti dalla consapevolezza del disegno del destino proprio ed altrui, in una specie di fatalismo all’indietro. Così, il sogno del bambino Andreas, che desiderava fare l’ingegnere da grande per costruire ponti e gallerie, e la predizione visionaria del capitano Picas: “Con la testa che, si vede, è sempre altrove… Forse sarai un poeta“, si realizzano: il narratore/protagonista getta ponti mitici da una riva all’altra del Mediterraneo e scava gallerie biografiche ‘incantesimali’.
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