Marianella

Batà Ngoma presenta ‘Don’t Stress’, un ponte tra Napoli e Cuba

Paolo Bianconcini è in arte Batà, l’inconfondibile suono dei tamburi contraddistingue la sua musica, il ritmo ce l’ha nel sangue, napoletano di nascita cubano d’adozione, il suo cuore è un ponte, una coesione perfetta tra due realtà lontane eppure così in simbiosi.

Il suo esordio musicale avviene nel 1998 quando registra il progetto ‘Cuba Sound Sistem’, poi la turnè con Enzo Avitabile ‘O’ munnsemove’ e la collaborazione con Peppe Barra, Lino Cannavacciuolo, Paul e Gabin Dabiret. Nel 2013 lancia il progetto ‘Bata’ ngoma’ dove racchiude le esperienze in giro per il mondo. Un artista poliedrico dal ritmo contagioso. Il 12 gennaio è uscito il nuovo disco ‘Dont’ Stress’ “Il nostro nuovo lavoro, il secondo, finalmente con una etichetta che ci aiutasse, la Native Records ed è acquistabile nei negozi o on line i tutti gli store. “Don’t Stress” è il nome dell’album e di una delle nove canzoni presenti in esso. In oltre due anni e mezzo con l’aiuto di Spike Costabile, che oltre a missare e masterizzare l’album è andato in giro con me a registrarlo, siamo riusciti ad ottenere un determinato suono e le giuste vibrazioni per un viaggio musicale di una quarantina di minuti. Gli ospiti che hanno preso parte al disco sono amici ed illustri musicisti come Irian Lopez, Javier Pina, Gilberto Crespo, Gianfranco Campagnoli, Lino Pariota, Thiuf Ndyae. Non resta che ascoltarlo…”.

Dopo aver ascoltato l’ultimo lavoro discografico di Batà non ho potuto fare a meno di essere rapita dalla sua musica e abbiamo fatto una chiacchierata per scoprire chi è Paolo Bianconcini e come nasce questa sua superba storia…

Chi è veramente Paolo Bianconcini?

“Sono una persona molto curiosa, amo conoscere a fondo le cose e il modo in cui funzionano. Penso sia l’unico modo per non essere presi in giro in un tempo in cui abbiamo l’illusione di sapere tutto ma in realtà siamo molto confusi. Cerco sempre di credere nelle persone e di trattare gli altri come vorrei trattassero me, ma ahimè non è sempre facile. Sono un uomo di parola per me conta più di qualunque contratto scritto. Nasco come percussionista ed ho iniziato a lavorare presto con Enzo Avitabile, all’età di diciotto anni e grazie anche ai concerti con Giovanni Imparato ho fatto una buona scuola di groove ed ho imparato anche cosa volesse dire essere un turnista. Negli anni ho avuto modo di fare esperienze magnifiche come suonare con Michael Bolton o Saida Garret. Ma sempre di più mi accorgevo che non era un mondo molto facile. Non ho mai amato la competizione ed ho sempre gioito delle fortune dei miei colleghi”.

Come nasce il nome Batà e qual è il suo significato più vero?

“Il nome Batà mi fu dato da Enzo Avitabile nel 2001 ed io l’ho accettato molto volentieri poichè i tamburi Batà sono quelli in cui mi sono specializzato. Sono tre tamburi madre (Iya), padre (Itotele) e figlio (okonkolo) utilizzati nei rituali di Santeria cubana e la parola Batà vuol dire proprio famiglia. per cui ho continuato ad usare questo nome e quando nel 2012 ho fondato la mia band ho usato il nome Batà Ngoma utilizzando il mio nome yoruba e la parola Swahili che vuol dire tamburo. Siamo quindi una famiglia di tamburi”.

La tua musica è un ponte tra Napoli e Cuba, due realtà lontane eppure così in simbiosi…

“Napoli e Cuba le ho trovate molto simili da quando per la prima volta nel 2001 ho messo piede sulla Grande Isola. A parte il modo di vivere la vita tutti i giorni, la famosa arte di arrangiarsi, la fede per le madonne e i santi, la volontà di aiutarsi anche quando si ha poco, il vivere la strada quasi come un salotto, il “chisme” cioè i pettegolezzi, la complicità; Più di tutto la capacità di sorridere anche nei problemi e di risolvere le cose a “tarallucci e vino” o con del “ron” fatto in casa. Musicalmente Cuba è un posto unico al mondo poiché, dopo l’arrivo di diverse etnie dell’africa subsahariana, è rimasta sia geograficamente che politicamente separata dal resto del mondo filoamericano. Un po’ come Napoli durante l’inquisizione Cuba mantiene vive delle tradizioni altrove perdute per sempre. Questo linguaggio comune é estendibile ad altri luoghi a sud del Mondo e permea da sempre la musica che suono e che scrivo”.

Cosa rappresenta per te la musica come esperienza di vita?

“”La Musica è la migliore guaritrice” affermo in Mama Chola ed è una realtà. La funzione della musica deve essere quella di curare nei suoi svariati significati. L’esperienza come Omo Anya (figlio di Anya) e cioè quella di tambolero nelle cerimonie afrocubane mi ha fatto conoscere più di ogni altra esperienza la funzione che ha la musica e mi ha fatto capire che un musicista per essere definito tale deve spogliarsi della propria individualità e diventare un semplice canale. La musica non appartiene a nessun uomo e allo stesso tempo ha sempre fatto parte di tutto, ma è molto più grande di un musicista o un cantante. Si lascia usare, si lascia trovare e si fa scrivere ma è sempre stata lì”.

Hai studiato e girato per il mondo, entrando in contatto con culture molto diverse, quanto è importante per l’individuo farsi ‘contaminare’ dall’altro?

“Ricercare per me è ed è sempre stata una priorità, per curiosità ma anche per evoluzione in tanti sensi. Ho avuto la possibilità di studiare lingue africane all’ Orintale di Napoli e diplomarmi al Conservatorio S. Pietro a Majella e sono state esperienze importanti che mi hanno permesso anche  di sfruttare l’erasmus e studiare un anno a Parigi nella scuola Abanico la cosa più incredibile che avessi mai visto. Ricordo che quando andai per chiedere informazioni mi portarono in un aula dove facevano lezione 12 fiati tre percussionisti ed un contrabbassista. Suonavano alla grande, mi iscrissi il giorno stesso. A parte una Breve ma intenza esperienza in Gabon la maggior parte delle mie ricerche si concentra tra Cuba e la Jamaica. Tutte le mie esperienze confluiscono in Batà Ngoma come progetto live e in Batalab che è un laboratorio permanente di studio della tradizione afrocubana del tamburo del canto e della danza”.

Cos’è il Bata Ngoma e come nasce questo progetto?

“Il Batà Ngoma è una famiglia che come tutte le famiglie affronta gioie e dolori insieme, non senza problemi. Oltre me ci sono sul palco Marco Garofano, Antonello Petrella, Andres Balbucea, Rosario D’alessio, Fabiana Manfredi e  Luigi Casa ma la famiglia è molto più larga in una rete di amici e musicisti che collaborano al progetto”.

Quali idee hai in cantiere per il tuo prossimo futuro?

“Per quanto riguarda il futuro abbiamo già delle idee per un nuovo lavoro discografico ma intanto speriamo di poter portare il più lontano possibile il nostro live e permettere al maggior numero possibile di persone di ascoltare la nostra musica”.

 

Valentina Giungati

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