Si faceva chiamare sempre Luca, aveva documenti e passaporto originali e non si sottraeva alle foto seppur consapevole che sarebbero poi state postate sui social network. E’ durata quasi un anno e un mese la latitanza “spensierata” di Luca Materazzo, il 36enne rampollo di una importante famiglia napoletana, accusato di aver ucciso con circa quaranta coltellate il fratello Vittorio, ingegnere 51enne, dopo averlo atteso, la sera del 28 novembre 2016, nell’androne del palazzo al civico 3 di viale Maria Cristina di Savoia.
Luca lavorava come cameriere a “La Terraza” una caffetteria di Siviglia situata sull’Avenida Ramon y Cajal nel “barrio” (quartiere) Nervion. Si trovava nella città andalusa da circa un anno dopo aver lasciato Napoli la notte del 10 dicembre 2016 quando salì a bordo di un bus diretto a Genova. Da lì ha poi raggiunto il territorio spagnolo dove, secondo gli investigatori, poteva contare su alcuni contatti “fidati”. Resta comunque il giallo su come sia stato possibile sfuggire per oltre un anno alle forze dell’ordine italiane ed europee senza documenti falsi e con qualche foto postata qua e là sui profili Facebook da persone che conosceva e frequentava.
In questo scatto, pubblicato ad ottobre ma relativo alla scorsa estate, Luca abbraccia sorridente due turiste americane all’esterno della caffetteria dove aveva trovato lavoro come cameriere. In un’altra foto, presente sulla pagina del locale, Luca è immortalato con i colleghi di lavoro durante le scorse festività natalizie. E’ stato poi arrestato nel primo pomeriggio del 2 gennaio da tre poliziotti in borghese dell’Udyco Gruppo III della polizia nazionale spagnola. Gli agenti sono entrati nella caffetteria consapevoli che Luca era lì.
Così come raccontato a Il Mattino dal titolare dell’attività commerciale, quando i poliziotti sono entrati nella caffetteria “pensavo che fossero ispettori dell’Ufficio del Lavoro. Ho visto Luca impallidire, correre in bagno per prendere il suo inseparabile borsone Adidas. Gli ho detto di stare tranquillo e di mostrare il documento di identità, come ci chiedevano gli agenti. Ma lui ha tentato di uscire dal bar, dicendo che doveva andare a prenderlo a casa. Allora uno dei tre agenti gli ha detto di sedersi, e di restare calmo, mentre gli altri due bloccavano le uscite. Ho chiesto loro se potevo portargli da bere, perché era sul punto di svenire. Uno mi ha risposto di sì, ma in un bicchiere di plastica, non di vetro, perché Luca era è un tipo pericoloso“.
Le indagini sono coordinate dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso e dai sostituti Luisanna Figliolia e Francesca De Renzis, e condotte dalla Squadra Mobile di Napoli diretta dal primo dirigente Luigi Rinella e dal capo della sezione omicidi Mario Grassia. Gli investigatori italiani sono ora in attesa della rogatoria dei colleghi spagnoli per approfondire la rete di persone che ha aiutato Luca Materazzo nei suoi 13 mesi di latitanza.
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