Ero in un negozio di dischi quando ad un certo punto mi sono reso conto che come sottofondo, in filodiffusione per tutto il locale, veniva trasmesso un disco blues. La canzone che mi sono fermato ad ascoltare con attenzione era anche cantata e la voce era in napoletano: “C’è sta na casa rossa“. Un omaggio al grande Jimi Hendrix ed alla sua Red house.
A quel punto ho chiesto al responsabile del negozio di quale album si trattasse e lui mi ha risposto: “È Vesuvio Blues, l’ultimo di Antonio Onorato“. In quel momento il mio viso è come se avesse espresso, senza dirlo, il tipico “azz“ napoletano. Ma non perché sono rimasto stupito delle capacità musicali di Onorato, semplicemente non conoscendone bene il sound non avrei immaginato di ascoltarne uno tipicamente blues. E a dir la verità mi è anche piaciuto molto.
Ho apprezzato talmente tanto quella canzone, i suoi riff di chitarra e la sua canonica scala blues, che mentre giravo per il negozio non potevo fare altro che saltellare e simulare una suonata di uno degli strumenti che stavo ascoltando. Così, quando ho saputo che Antonio Onorato avrebbe presentato il suo nuovo album alla Feltrinelli ho deciso di andarci, male che vada avrei scoperto qualcosa di più su uno dei musicisti nostrani più bravi e apprezzati di sempre.
Forse, inconsciamente, ho preso questa decisione per colmare una mia lacuna, come se sotto sotto non potevo accettare di non conoscere Antonio Onorato e la sua musica. Chiariamo subito una cosa, io non sono ne un musicista, ne un critico, ne un esperto. Sono un gran divoratore di dischi, questo si. Come tanti adoro quest’arte, e non lo nascondo, un mio desiderio è quello di imparare a suonare uno strumento. Ma per adesso posso solo accontentarmi di ascoltare ritmi, note e voci.
Chiusa questa parentesi personale, torniamo alla presentazione di “Vesuvio Blues“. È stato davvero un bell’incontro, di quelli che quando finiscono tiri un sospiro di sollievo e sulla faccia ti si stampa un bel sorriso. Bisogna anche essere onesti, il finale è stato straordinario, con un assolo di Antonio Onorato davvero magistrale, un piccolo ed intenso atto d’amore con la sua chitarra, pochi minuti di passione per congedare una folta platea.
Mi è sembrato doveroso partire dal finale, perché queste note che sono uscite dalla chitarra di Antonio hanno dimostrato quanto egli sia una cosa sola con il suo strumento. Quanto amore c’è tra lui e la musica. Antonio ha parlato di una sorta di “spirito che entra in connessione con gli uomini, alcuni di questi sono musicisti ed hanno una sorta di antenna particolarmente sviluppata che recepisce tale energia. È l’unione tra quest’ultima e il musicista che da vita al processo creativo che mi permette di comporre le mie canzoni“.
Quest’energia che Antonio incamera e sprigiona deve essere davvero speciale, non può essere altrimenti. Ho scoperto che quest’uomo vestito un pò alla Stevie Ray Vaughan (uno dei più grandi chitarristi blues della storia, purtroppo scomparso prematuramente), con quel cappello circondato da un foulard che testimonia la sua vicinanza ai nativi americani, ha prodotto ben 25 album. Cioè ha composto una gran quantità di canzoni, che tra collaborazioni speciali e riconoscimenti vari, hanno dato vita ad una carriera lunga e straordinaria. Inoltre, quest’ultimo suo lavoro (il 26esimo) è la prova di quanto Antonio sia un innovatore ed uno sperimentatore: non solo è la prima produzione in cui abbiamo il piacere di sentire la sua voce, ma il brano d’apertura è stato realizzato con l’Apple guitar. Solo adesso capisco il collegamento che lui ha fatto tra Mozart, Wes Montgomery, Joe Pass, Jimi Hendrix e Miles Davis.
Antonio Onorato, per sua stessa ammissione è nato e vissuto in questa terra, sua croce e delizia. Questo perché in un territorio così particolare, contraddittorio e magico, si fa fatica ad emergere e a farsi strada. “Se fossi nato in America o nel Nord Europa tutto sarebbe stato più facile ma poi non avrei avuto questo dna e questo bagaglio culturale“. Infatti Antonio non è diventato un musicista che tutti conoscono o che ha venduto milioni di dischi scalando le classifiche. Non è autore di quei pezzi che girano di continuo in radio, ma ha avuto di sicuro l’umiltà, il genio e la capacità di aver trasmesso, in poco più di un’ora, tutto ciò che aveva dentro.
L’amore per la musica, per Napoli, per il Vesuvio ed il suo magma, per quel mare che è sempre li ma ogni giorno diverso, per questi vicoli che pulsano di energia e che spesso sono teatro di cose meno belle, per Pino Daniele un amico, anzi un “fratello maggiore“. Insomma Antonio Onorato mi ha “trafitto” e con il suo tono pacato, due chiacchiere, qualche risata e un assolo mi ha convinto ad acquistare questo disco. Sono tornato a casa, l’ho aperto e acceso lo stereo, l’ho inserito nel lettore cd. Alla fine è stato tutto chiaro, non ho tempo da perdere, ci sono altre 25 opere da scoprire.