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Pianura, il boss pentito Pasquale Pesce: “Ecco perché abbiamo ucciso Luigi Aversano”

Le motivazioni dell'omicidio raccontate agli inquirenti dall'ex boss, oggi collaboratore di giustizia

Continua a parlare Pasquale Pesce ex capo clan del sodalizio Pesce – Marfella di Pianura. Arrestato durante un blitz dello scorso mese di marzo, Pesce ha deciso di pentirsi a luglio, magari per evitare il 41bis, anche se ha dichiarato di averlo fatto “perché stanco di combattere contro la mia stessa famiglia“. Infatti, l’organizzazione dei Pesce – Marfella è imparentata con i loro nemici il clan Mele – Romano, sodalizio nato da una scissione culminata nell’omicidio di Carmine Pesce, fratello di Pasquale, avvenuto nel 2004.

Da quel giorno a Pianura c’è stata un’escalation di agguati motivati dalla vendetta e dal voler controllare il territorio. Ed è su questo che stanno indagando gli inquirenti. La Procura di Napoli e la DIA (Direzione Distrettuale Antimafia) cercano di far luce sulle dinamiche criminali degli ultimi anni che hanno caratterizzato il quartiere dell’area ovest della città.

Così dopo le rivelazioni in merito alla figura di Giuseppe Foglia, killer e faccendiere di primo piano al servizio dei Pesce – Marfella, ecco che Pasquale Pesce ha parlato dell’omicidio di Luigi Aversano detto ‘Musichiere. Quest’ultimo, affiliato al clan Mele è stato ucciso nell’agosto del 2013, “sono stato io ad ordinare l’agguato. Bisognava dare un segnale forte ai nostri nemici. Volevo colpire Giuseppe e Salvatore Mele, spesso accompagnati da Antonio Calone, Luigi Aversano ed Enzo Birra. Conoscevo il tragitto che facevano da via Pignatello fino a casa di Raffaele Dello Iacono. Si muovevano sempre di pomeriggio, quando Giuseppe Mele si svegliava. A casa mia, durante una riunione, incaricai a Salvatore Marfella, Giuseppe Foglia e Diego Basso di compiere l’agguato. Mi occupai personalmente di procurare un’auto rubata, una Hyundai scura, e applicai le pellicole per oscurare i vetri. La parcheggiai in via Cannavino. Separatamente parlai invece con Lorenzo Carrillo, Salvatore Schiano e Antonio Campagna. Carrillo, con la macchina della figlia, aveva il compito di andare a prendere Foglia e Marfella per condurli a casa di mia madre a Ischitella. Schiano aveva il compito di parcheggiare l’auto usata per l’omicidio. Campagna si doveva occupare del recupero di basso per riportarlo a casa. Le armi dovevano invece essere smontate e buttate per strada. Consegnai dunque tre pistole, una calibro 45, una 38 ed una 9×21, a Marfella, Foglia e Basso. A quest’ultimo, però, dissi di non sparare perché lui era un sorvegliato speciale. Il pomeriggio stesso avvenne l’omicidio. I tre partirono all’orario previsto, fecero il percorso stabilito, incontrarono Aversano da solo sul mezzo e lo tamponarono frontalmente facendolo cadere a terra. A quel punto Foglia e Marfella gli spararono. Così mi fu raccontato da Diego Basso“.