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“Gli onesti della banda” nel cuore del Rione Villa: il vero protagonista è il quartiere

“Liberi”, è la scritta che è apparsa sulle grandi mura di una palazzina alle spalle degli attori che hanno accolto con un inchino gli applausi del pubblico. Tutto intorno il “teatro”, il cortile della “46”, nel cuore del rione Villa a San Giovanni a Teduccio. Dall’alto l’anima della rappresentazione che ha circondato l’intera scena: gli abitanti del quartiere, che sono stati affacciati ai balconi delle loro case attaccate una all’altra, i padri che fumano, le madri con i figli piccoli tra le braccia. Forse non hanno mai visto prima uno spettacolo teatrale, nonostante la loro vita sia una sceneggiatura naturale. Mai avrebbero immaginato che proprio il teatro sarebbe giunto come un fulmine a ciel sereno nelle loro vite.

"Gli onesti della banda" nel cuore del Rione Villa: protagonista il quartiere

Tuttavia è accaduto, la compagnia del Nest (Napoli Est Teatro) è riuscita in un compito proibitivo, aprire le porte di un quartiere che da sempre ha la nomea di essere un ghetto. Una di quelle zone in cui luoghi comuni hanno stabilito che si può vivere solo di droga e malaffare. Eppure gli sguardi dei bambini che hanno visto arrivare gente da tutta Napoli per assistere allo spettacolo, sono stati pieni di entusiasmo, gioia e consapevolezza per essersi sentiti protagonisti di una storia importante e davvero speciale.

Così Francesco Di LevaAdriano PantaleoGiusepppe GaudinoIvan CastiglioneIrene GrassoLuana Pantaleo e un superbo Ernesto Mahieux hanno portato in scena una divertente e simpatica rivisitazione di quella geniale commedia che è “Totò, Peppino e la banda degli onesti” diretta da Camillo Mastrocinque nel 1956. Così, con la regia di Giuseppe Miale di Mauro che ha collaborato insieme a Diego De Silva alla riscrittura della sceneggiatura originale di Age e Scarpelli (a sua volta tratta dal testo teatrale di Eduardo Scarpetta), è nato “Gli onesti della banda“, rappresentazione presente nel programma del Napoli Teatro Festival Italia.

Ma dimenticatevi del Principe della risata Antonio de Curtis e del grande Peppino De Filippo, perché nonostante i rimandi a quella storica commedia siano ovviamente tanti e spontanei, la chiave di lettura della rappresentazione è l’attualità. Sono i ragazzi che vivono il quartiere, sono le vite di Tonino (Adriano Pantaleo, il portiere) e Peppino (Giuseppe Gaudino, il tipografo) che affrontano la quotidianità insieme a tutti i problemi e le complessità che essa comporta. È la figura truffaldina del ragioniere Casoria (Francesco Di Leva con una vistosa pancetta, capello lungo e occhiali da sole a goccia) che architetta un piano criminale insieme al ‘guappo del quartiere Mimmuccio (l’incontenibile Ernesto Mhieux), usuraio e contrabbandiere di orologi. Nel mezzo due donne che hanno un temperamento straordinario e un ruolo tutt’altro che secondario: Angela la moglie di Tonino (‘a bionda Irene Grasso) e Giulia la sorella di Peppino (Luana Pantaleo) e promessa sposa di Michele il finanziere fratello del portiere (interpretato da Ivan Castiglione che è persino entrato in scena con un overboard, più moderno di così).

"Gli onesti della banda" nel cuore del Rione Villa: protagonista il quartiere
Da sinistra Adriano Pantaleo (Tonino), Ernesto Mahieux (Mimmuccio), Giuseppe Gaudino (Peppino)

L’adattamento moderno si respira in continuazione e il pubblico vi è immerso completamente grazie alla grande idea di ambientare la commedia a cielo aperto, nel cortile proprio all’interno del rione. Quello che accade potrebbe essere davvero una delle tante e normali giornate che capitano a chi vive in questa città. Certo, vi è l’aggiunta dei falsari, ruolo che Tonino e Peppino non accettano a cuor leggero ma che devono interpretare per necessità, affinché la loro vita non vada a rotoli. Poi ecco che incombe il rischio, presto concreto, del veder venduta la propria dignità, nel donarla ai malviventi che ricattano ogni giorno, con il sopruso e la prepotenza, la loro esistenza. Si sa, i soldi facili fanno comodo e danno alla testa, e il nostro portiere con l’amico tipografo sono ad un passo dal perdersi per sempre.

Ma l’amicizia e l’essenza dei due personaggi sono più forti dell’avidità. In fondo Tonino è un filosofo che sta scrivendo un libro, è innamorato perso di Angela ed è sempre stato dalla parte dei condomini più deboli contro le angherie del perfido ma simpatico ragioniere Casoria (che incarna in un corpo solo le caratteristiche de il gatto e la volpe). Peppino è un ragazzo dal cuore d’oro, un gran lavoratore. Sempliciotto, ma con una spiccata mentalità imprenditoriale, che gli permette di comprendere come la sua attività necessiti di un’evoluzione affinché possa andare avanti. Il legame d’affetto che lega entrambi è molto forte e si rivelerà superiore a qualsiasi quantità di soldi che i due giovani abbiano mai potuto stampare in tutta la loro vita. Per questo i protagonisti decidono di essere “Liberi“, denunciando tutto alle autorità e andando in galera ma salvando se stessi e le loro anime.

La recitazione è impeccabile, Pantaleo e Gaudino sono una coppia perfetta e le scene insieme a Di Leva (un attore camaleontico che è passato con un semplice cambio d’abito dai panni di Antonio Barracano, Sindaco del Rione Sanità, a quelli della macchietta calcolatrice che è il nostro ragioniere), rubano risate ad un pubblico partecipe e rapito da questo palcoscenico unico. Devo però ammettere una cosa e gli autori e gli interpreti della commedia non me ne vogliano. Il finale non mi ha convinto, anzi non mi è piaciuto. Da profano del teatro l’ho trovato fiacco, in opposizione al significato che esso rappresenta e al ritmo incalzante dell’intera rappresentazione. Ma questa mia critica non è che un atto di sincerità, un sentimento più che dovuto nei confronti della compagnia, di questa storia,  di questi ragazzi, e soprattutto del loro quartiere. Del resto la fine è solo l’inizio, è il miracolo di aver assistito ad uno spettacolo nel cortile della 46. Mi auguro soltanto che una volta che il pubblico è andato via, così come le volanti, gli attori e le luci siano state spente, quei cancelli non tornino ad essere chiusi ed invalicabili. E ne sono convinto, la speranza è l’ultima a morire.