I fratelli Antonio e Vincenzo Licciardi potrebbero tornare presto in libertà per scadenza dei termini. I figli di Pietro, detto Pierino ‘o fantasma, e nipoti del boss Gennaro ‘a Scigna (stroncato nel ’94 da un’ernia ombelicale in carcere ndr), di Vincenzo e di Maria, reggente del clan della Masseria Cardone a Secondigliano dopo la morte del fratello, vennero arrestasti nel 2013 in seguito al tentato omicidio in un locale di piazza Cavour a Napoli di un dominicano, colpevole di aver negato ad Antonio Licciardi di ballare con la sua fidanzata.
L’episodio avvenne il 31 marzo del 2013 e oggi è arrivato il secondo annullamento della condanna da parte della Cassazione per i fratelli Licciardi. I due quella notte cercarono di ammazzare Rivas Josè dopo un diverbio avvenuto in un locale di salsa e balli latino-americani di Napoli. Effettuarono così una spedizione punitiva sotto l’abitazione del giovane al Rione Sanità che solo per una fatalità non si concluse con un plurimo omicidio. Armati di pistola, fecero fuoco contro Rivas che riuscì a schivare il primo colpo che però colpì all’addome un altro cittadino domenicano, Portolatin Cruz Virginio. Poi solo il caso evitò la morte di Rivas, lesto a scappare dopo che la pistola si era inceppata.
Il 2 aprile successivo, il gip del Tribunale di Napoli emise ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei fratelli Licciardi. Uno dei due, Vincenzo, si rese anche latitante sino a quando, dopo incessanti ricerche da parte degli inquirenti, fu arrestato il 25 Maggio 2013. Il 29 novembre 2013 i figli del boss furono condannati in primo grado a 12 anni di reclusione per tentato omicidio aggravato dai futili motivi e per il delitto di detenzione e porto in luogo pubblico di un arma da sparo.
In Appello (7 luglio 2014), la pena fu poi ridotta per entrambi a 10 anni. Già nel corso del giudizio di primo grado i due fratelli Licciardi avevano provveduto ad offrire un risarcimento dei danni pari ad euro ventimila mila al Portolatin (il ragazzo ferito all’addome) ed euro mille a Rivas. Ma sia il giudice di prime cure che la Corte di appello avevano negato la concessione dell’attenuante del risarcimento sulla base di diffuse argomentazioni: non vi era stata alcuna resipiscenza da parte degli imputati; non era possibile stabilire se gli imputati avessero utilizzato denaro proprio per risarcire; le somme non erano state ritenute proporzionate alla gravità del fatto.
La questione fu portata innanzi alla Corte di Cassazione che annullò la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli, relativamente alla concedibilità dell’attenuante del risarcimento del danno, la quale comporta la riduzione della pena sino ad un terzo di quella inflitta. Svoltosi poi il giudizio di rinvio davanti alla sesta sezione della Corte di Appello, presieduta dalla dottoressa Gallo con a latere i giudici Calaselice e Polizzi, conformemente alla richieste del Procuratore Generale, furono inflitti 10 anni di reclusione
Avverso tale decisione fu proposto per la seconda volta ricorso in Cassazione. Si è così tenuta oggi l’udienza innanzi alla V sezione della Suprema Corte dove il Procuratore Generale, dottoressa Loy, ha chiesto il rigetto del ricorso. Alla fine hanno prevalso e convinto i Supremi Giudici le argomentazioni giuridiche indicate nel ricorso scritto dalla difesa e di cui si è reso protagonista l’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli, temi illustrati oralmente in udienza dall’avvocato Saverio Campana del Foro di Nola.
Infatti, la Corte di Cassazione ha annullato per la seconda volta la sentenza di condanna stabilendo che dovrà procedersi ad un nuovo giudizio innanzi ad altra e diversa sezione della Corte del distretto. Questo significa dire che dovrà straordinariamente svolgersi per la terza volta il giudizio in Appello, dove la pena di anni 10, già mite rispetto al grave episodio verificatosi, è destinata ad essere ulteriormente ridotta. Non solo. Nel frattempo, grazie al doppio annullamento della Cassazione, appare altamente probabile la rimessione in libertà dei due fratelli Licciardi per scadenza dei termini di custodia cautelare.