Il ragù di Napoli deve avere davvero qualcosa di speciale, se da lui sono scaturiti racconti e leggende non solo popolari, ma anche dall’altissimo profilo letterario. Letteratura, quindi, ma non solo. Scienza! La scienza si è occupata di questo succulento piatto e delle sue connotazioni psicologiche, nella persona di Sigmund Freud. Il padre della psicanalisi e per alcuni anche della psicologia moderna ha parlato diffusamente dei significati reconditi che si celano dietro il ragù.
Lo avevano preceduto una serie di autori che facevano del ragù un fatto simbolico. Matilde Serao, nata nello stesso anno di Freud e morta poco prima, scrittrice e giornalista innamorata di Napoli e della sua storia, racconta una leggenda che ha per protagonista il ragù, creato nel 1200 da un mago napoletano (tale Chico), che si trovava al centro di una lotta tra angeli e demoni. Il ragù, sintesi di bene e male, di gioia ed insana passione.
La maniera stessa di cucinare il ragù, quel lasciar ‘pippiare‘ carne e pomodoro per un numero interminabile di ore, a fiamma bassa, era al centro del mondo culinario degli indios, che mettevano a bollire gli avanzi del giorno prima in un gran calderone detto “pentola pepata”. E le donne si occupavano di tenere vivo quel fuoco, perennemente, fino a sviluppare un’immagine di sé che travalicava l’umano e si addentrava nell’occulto.
Non siamo lontani, se ci pensate, dallo stereotipo della strega, che rimescola i propri intrugli per giorni, prima di approntare incantesimi sinistri. Da un lato quindi le madri e le mogli premurose, che cucinano amorevolmente per le famiglie, dall’altro le megere, che nell’espletare le proprie mansioni “femminili”, si incuneano nelle pericolose pieghe del sortilegio e della magia oscura. Ancora una volta, il bene e il male.
Per dirla alla Freud, Eros e Thanatos. La pulsione verso il piacere e quella contraria, verso la morte e la distruzione. Due forze divergenti, convergenti nell’individuo. Quale attinenza potrà mai avere questa visione della psiche umana, con il ragù? Il pensiero che trasferì la proverbiale oralità da cui Freud era ossessionato, da un’istanza sessuale ad una di tipo nutritivo fu provocato dagli zitoni.
Ebbene sì. Quella chilometrica pasta che abbiamo passato ore, nell’infanzia, a spezzare a mano per conto delle nostre madri, finché non ci spuntavano vesciche e tumefazioni (leggere, per carità), hanno provocato in Freud una riflessione a cui probabilmente nessuno di noi aveva pensato (altrimenti probabilmente, nonostante la tenera età, molti maschietti si sarebbero rifiutati di prestarsi al servizievole impiego).
In quello spezzare a mano gli zitoni, le madri e le mogli intendevano inconsciamente castrare il genere maschile. Figli, mariti, non ha importanza. La cosa si configurava come un’estremizzazione particolarmente macabra dell’invidia del pene. Il risveglio di Thanatos, di fronte all’impossibilità di ottenere un piacere destinato al genere maschile, ed una reazione simbolica sulla scia del “muoia Sansone e tutti i filistei”.
Se pensate che questo sia un po’ troppo, sappiate che non avete ancora letto niente. C’è chi tra noi, di fronte ad un bel piatto di ragù, non riesce proprio a trattenersi. E terminata la mangiata, chiede il bis, da attingere al pentolone di mezzo metro, da cui ancora tracimano carne e pomodoro. Chi esagera col ragù, fa incesto con la propria madre.
Non scandalizzatevi. Non è detto Freud abbia ragione. Se proprio dobbiamo sbilanciarci, siamo assolutamente certi che Freud non abbia ragione. Ma come non vedere in questa forzatura un richiamo esageratamente cercato al complesso di Edipo, per il quale i figli amano le madri, e le figlie amano i padri, fino a divenire gelosi dei propri genitori?
Furono le madri napoletane, quindi, portatrici di tutti questi equivoci, agli occhi di quel Freud che nel 1902 assaggiò per la prima volta il ragù napoletano? Madri amorevoli e volitive, forti e servizievoli, solari e lunari, sorridenti ma inquiete, trasparenti e misteriose. O piuttosto le sue riflessioni scaturirono dalla forte impressione che gli lasciò quel sapore indescrivibile, proveniente dal sapiente equilibrio di carne pomodoro e zitoni?
Non lo sapremo mai, ma una cosa è certa: gli zitoni che servirono a Freud erano al dente. Non potevano essere diversamente da così, altrimenti non staremmo parlando di Napoli. E pensavate forse che l’ossessione per la perfezione di quella cottura, quel tirare la pasta poco prima che possa essere considerata cotta, sulla soglia della crudezza, non ingenerasse nella mente fervida di Sigmund qualche altra chicca succulenta?
Ma certo. Prediligere questo tipo di cottura, per il ragù come per tanti altre pietanza che hanno nella pasta una nobile protagonista o coprotagonista, per Freud significa terra d’incontro tra il duro e il molle, tra il maschile ed il femminile, con una spiccata attenzione a che la femminilità delle napoletane non soggiaccia senza contesa alla virilità dei napoletani. Una guerra all’ultimo sangue. Una guerra color ragù.