La Chiesa di San Giovanni a Mare fu edificata nel XII secolo, integrata nell’Ospedale dei Gerosolimitani (altrimenti detti Giovanniti, cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme), che raccoglieva i malati di ritorno dalle Crociate in Terra Santa. I malati venivano messi in quarantena nella navata centrale della chiesa, prima di essere considerati sani e “abilitati” al rientro nella città.
Le origini della chiesa, legate ai cavalieri dell’Ordine di San Giovanni, spiegano facilmente la sua denominazione. Ma la dicitura “A Mare”, da dove deriva? Ai tempi in cui fu costruita, la chiesa era lambita dal mare, e questa vicinanza era funzionale alla rievocazione della caratteristica principale di San Giovanni Battista: il battesimo nelle acque dei fiumi o dei mari. Come scopriremo a breve, l’elemento marino assumerà ben presto un risvolto tutt’altro che religioso.
Prima di passare alla descrizione dei riti pagani che invasero fin quasi a sopprimere la sacralità della chiesa e della ricorrenza di San Giovanni (datata 24 Giugno), è bene ricordare un’altra particolarità della chiesa: fu l’unico edificio religioso realizzato in epoca normanna, dove i rapporti tesi con il papato significarono l’abolizione netta di qualsivoglia progetto architettonico legato alla sfera cattolica.
La Chiesa di San Giovanni a Mare ha oggi un aspetto del tutto diverso da quello iniziale. Secoli di rifacimenti, restauri, integrazioni, sottrazioni, l’hanno ridotta a ritrovarsi schiacciata da due palazzi laterali che ne soffocano il portale tra le loro mura, impedendo a chi passa lì davanti di immaginare la bellezza che si nasconde dietro quell’ingresso così poco trionfale.
Fino al 1700 la Chiesa era in costante espansione architettonica. Delle aggiunte alla struttura originaria si registrano soprattutto le cinque cappelle laterali, le due cappelle sorte intorno al presbiterio, il campanile in piperno grigio voluto dai Carafa, i collegamenti con le stanze private dei Gerosolimitani, e gli appartamenti stessi.
Poi fu la volta di un secolo, il XVIII, nel quale ci si dedicò soprattutto all’abbellimento interno della chiesa, con l’iniziativa, ad esempio, di pagare pittori per assicurare alle mura di San Giovanni un’imperitura gloria artistica. Ma l’esperimento naufragò nel mare di pressapochismo con cui artisti di second’ordine infestarono la Chiesa.
Il repulisti urbanistico del secolo successivo portò San Giovanni a Mare al soffocamento tra due palazzi, allo smantellamento sistematico delle aggiunte posticce, al ripristino di una più sobria medievalità romanica, ed in tempi più recenti, alla collocazione nell’atrio della cap’ ‘e Napule, Donna Marianna.
Si pensa infatti questa testa potesse originariamente far parte di una scultura che rappresentava Parthenope, la sirena dalla cui tragica morte per suicidio nacque la città di Napoli. Il perchè oggi una copia di quella testa si trovi in San Giovanni a Mare, è facile desumerlo a partire dalla denominazione. Inoltre si ritiene San Giovanni potesse essere una delle plausibili tombe della sirena.
La Sirena Partenope, una delle leggende legate alla fondazione di Napoli, testimonia perfettamente come tutto quanto è pagano, a Napoli, resiste al tempo e alla censura, come per opera di una superiore entità custode, che in fondo altri non è che la città stessa ed il popolo che la vive e la rigenera.
San Giovanni a Mare di quel paganesimo ha conservato per secoli la testimonianza, attraverso riti e tradizioni concentrati il 24 giugno, giorno di San Giovanni. Come per rievocare il rito cattolicissimo del battesimo, istituito da San Giovanni, i napoletani solevano radunarsi in San Giovanni a Mare, e tuffarsi in mare nudi dopo una serata di bagordi culinari e danzerecci.
Nudi, si diceva per preservare la purezza del rito. Certo, tanto che a metà 1600 questa tradizione venne ufficialmente bandita in quanto teatro di scandalose promiscuità. Dopo una serata passata a ballare bere e mangiare, infatti, non sempre il rito della purificazione battesimale procedeva secondo il più santo dei protocolli.
Una commistione tra sacro e profano che è nelle date stesse del calendario. I solstizi d’estate e inverno, quando il sole raggiunge la sua massima declinazione, avvengono rispettivamente il 21 giugno ed il 22 dicembre, tre giorni prima di San Giovanni e della nascita di Gesù Bambino. La porta degli uomini da un lato, la porta degli dei dall’altro, con due custodi d’eccezione.
Il 24 giugno, in particolare, sembra i tempi fossero propizi per la divinazione, pratica nella quale erano maestre le vecchie napoletane in grado di leggere il futuro a seconda della conformazione che assumeva il piombo fuso a contatto con l’acqua fredda, o la sabbia abbrustolita col fuoco, lasciata a risolidificarsi su una superficie piana.
Nello stesso giorno moltissime ragazze provavano ad interpretare la disposizione delle foglioline di orzo nella tazza, nel tentativo di scoprire il nome del futuro sposo, o lasciavano che la rugiada mattutina bagnasse fiori lasciati a macerare in balcone, andando a formare un profumo pare irresistibile per gli uomini.
Quest’atmosfera di grande attesa amorosa finì per coinvolgere anche Alfonso d’Aragona. Si racconta che il re, colpito positivamente da alcune popolane che gli chiesero la carità, consegnò ad una di loro un sacco pieno di monete d’oro. La popolana era Lucrezia d’Alagno, e rifiutò il gentile dono.
Estrasse dal sacco una moneta, e la strinse tra i denti con una grazia ed una malizia tali da ammaliare istantaneamente il vicerè. Nella notte di San Giovanni, a Napoli, si realizzò quanto si riteneva proprio non fosse possibile. Un re, una popolana, insieme per tutta la vita. Questo aneddoto contribuì non poco alle credenze popolari, rafforzando con la solidità di un fatto storico il culto pagano che vivacemente il clero contrastava.