A Soccavo, in via Bottazzi, ad angolo con via Scherillo, si trova, protetta da una cella di vetro e sormontata da una lamiera, una grande croce in piperno. Fino al 1960 si poteva ammirarla vicino a Palazzo Marcone, ma in seguito a lavori di edilizia che prevedevano nuove case in zona, fu spostata per evitare problemi di viabilità. Cosa ci potrà essere mai di così interessante in una delle tante croci di Napoli? Il fatto che alla base sia scolpito quello che molti ritengono essere il Sacro Graal.
Chi sostiene questa tesi si spinge ad affermare che una simbologia tanto evidente stia ad indicare che il Sacro Graal è transitato a Soccavo, in uno dei suoi tanti, misteriosissimi spostamenti. Chi invece questa tesi la rifiuta, parla apertamente di panzana mediatica fuori da ogni logica. Per farci un’idea precisa, si rendono necessari alcuni dati di carattere storico ed artistico.
L’ORIGINE DELLA CROCE – Gli esperti concordano sul fatto che probabilmente la croce in piperno fu eretta a testimonianza di una missione di frati che si occuparono di evangelizzare quella che, tra il 1500 ed il 1600, era una zona di campagna, abitata perlopiù da contadini che coltivavano le fertili terre flegree. Ai tempi della costruzione della croce (1613, stando all’iscrizione posta ai piedi della stessa), infatti, Soccavo era poco più di una comunità rurale.
Quando non era stata ancora ideata la Crypta neapolitana, Soccavo poteva essere raggiunta da una sorta di parente antichissimo dell’attuale tangenziale: la Via Antiniana per Colles, vecchia 2000 anni. Come centro abitato, quindi, Soccavo esiste da tempo immemore. La denominazione attuale è più recente (la prima testimonianza risale al XIII secolo), e deriva probabilmente da Sub Cava, con chiaro riferimento all’attività di estrazione del piperno.
Con l’emersione del Monte Nuovo nel 1538, dovuta da una terribile attività vulcanica dei Campi Flegrei, molti abitanti che si ritrovarono improvvisamente senza casa né villaggio, si spostarono a Soccavo. Il che contribuì all’ulteriore fiorire dell’estrazione di piperno, una pietra di origine vulcanica che fu particolarmente utilizzata a Napoli nella costruzione di chiese e palazzi prestigiosi.
Perché tutte queste precisazioni? Perché nella storia di Soccavo ritroviamo il termine chiave attorno al quale ruota l’intera vicenda del Sacro Graal: il piperno, ed in particolare la florida attività basata sulla solida roccia magmatica che si svolgeva in un casale (l’antico luogo nel quale si effettuavano i primi lavori sul piperno) di cui oggi restano ancora tracce, per quanto sbiadite.
LA CORPORAZIONE DEI PIPERNIERI – La croce di cui stiamo parlando fu realizzata proprio in piperno da maestri che si riunivano nella potentissima Corporazione dei Pipernieri. Il loro sapere era tramandato oralmente di generazione in generazione. Ma ad essere trasmesse agli apprendisti pipernieri non erano solo le tecniche di lavorazione del piperno risalenti all’antica Roma e perfezionate nel corso dei secoli.
La Corporazione era famosa anche perchè depositaria di un sapere di tutt’altro tipo: esoterismo. Alla regolare attività di intagliatura si affiancava un culto particolare per simbologie esoteriche di cui si trovano spesso tracce minute nelle creazioni dei maestri pipernieri. Il casale di Soccavo, il loro “quartier generale”, ne era pieno, e ancora oggi si può ammirare ciò che di quei simboli è rimasto.
E’ per questa ragione che i simboli ritrovati sulla croce in piperno a Soccavo hanno assunto agli occhi di alcuni esperti un rilievo particolare. Figurarsi poi se uno di quei simboli, il più evidente, ha la forma di una giara, assimilabile alla coppa, raffigurazione con cui il Graal è entrato nell’immaginario pubblico del Medioevo in poi.
I SIMBOLI SULLA CROCE – Scopriamoli insieme, questi simboli. La croce riporta innanzitutto una iscrizione, molto evidente, che indica la data di creazione: 1613. C’è poi la firma dell’autore, un certo Iunius F., sconosciuto. La forma della croce non sembra appartenere al suo secolo. Ricorderebbe piuttosto le croci celtiche, diffuse soprattutto nel Medioevo, di cui evidentemente si voleva richiamare lo stilema.
In bassorilievo si possono notare in alto lo Spirito Santo, e sulle braccia della croce da un lato San Pietro, dall’altro San Paolo. Ai piedi della stessa, invece, un teschio, la corona di spine, dei chiodi, un vestito, e la famosa giara. Questa giara è posta proprio sopra i tre gradoni che costituiscono la base della croce, ed è evidenziata da un cerchio all’interno del quale sembrano irradiarsi, a partire dalla giara, dei fasci di luce.
IL SACRO GRAAL – Quello che da alcuni è stato individuato come il simbolo del Sacro Graal sulla croce di Soccavo è stato a lungo considerato una lanterna, proprio in virtù di quei raggi di luce che sembra emanare. Si tratta più propriamente di una mummara, un’anfora in terracotta usata per contenere acqua in ambienti freschi.
Voler vedere in quell’anfora la coppa all’interno della quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Gesù significa assumere che la coppa dell’immaginario collettivo fosse in realtà una giara, o un’anfora, o una mummara. Significa altre sì credere alla versione di Robert de Boron, che nel 1202 descriveva per la prima volta il Graal come un calice nel suo Joseph d’Arimathie.
Fino ad allora se n’era parlato in termini molto più vaghi. Il Graal di Chrétien de Troyes (che anticipò il de Boron di qualche anno) era un oggetto d’oro incastonato di diamanti. Nessun cenno al fatto che vi fosse stato raccolto il sangue di Cristo né che si trattasse dello stesso calice utilizzato da Cristo nell’ultima cena.
Chi si oppone all’interpretazione che la figura sulla croce di Soccavo possa ritrarre il Santo Graal si appella a questa versioni del Graal, la prima, antecedente a quella di De Boron, secondo la quale il Graal non aveva una forma né una funzione pratica. E’ importante notare, però, che le manifestazioni letterarie nelle quali il Graal fa le sue prime comparse sono molto ravvicinate tra loro, e considerare più rilevante la prima piuttosto che la seconda ai fini dell’identificazione del Graal è un’argomentazione singolare.
Sarebbe come dire che l’amore cantato da Petrarca è più credibile dell’amore cantato da Pasolini, perchè è stato scritto prima. Secondo fattore non di poco conto: nel racconto di Chrètien de Troyes il Sacro Graal emanava una luce (come nella croce di Soccavo). Ogni pietanza che veniva offerta a Parcival durante il banchetto col Re Pescatore, s’accompagnava alla visione “illuminata” di questo non meglio definito “Graal”.
Non meglio definito, però, fino ad un certo punto, perchè, per quanto vago, il termine Graal utilizzato dal de Troyes deriva dal latino gradalis (scodella, vaso). Ed il francese, la lingua del de Troyes, è lingua romanza. Un elemento in più per farsi un’idea: ai piedi della croce in piperno di Soccavo, è o non è rappresentato il Sacro Graal? La risposta, nella mente scomparsa di chi l’aveva scolpita.