A Napoli il calcio è sentito più che altrove. Si tratta di una sorta di fede, di credo, insomma, di una religione a tutti gli effetti. A tratti questo sport assume sfumature che hanno del surreale, difficilmente percepibili nel resto d’Italia. Diviene, infatti, una ragione di vita, un motivo di riscatto sociale. Non è un’esagerazione. Ogni domenica il respiro dell’intera città si trattiene fino al momento in cui è possibile esplodere in un fragoroso ‘goal’ facendo tremare gli spalti dello Stadio San Paolo e tutto il quartiere di Fuorigrotta e dintorni. Per chi non lo avesse capito il calcio a Napoli è una sorta di divinità da venerare. Dietro quella che, a detta di molti, è semplicemente una maglia azzurra si cela in realtà tutta la voglia di emergere di una città, la necessità di dimostrare il proprio valore, ed il riscatto da un passato ingiusto, a tratti crudele, che ha messo a tacere anche grazie alla complicità dell’oblio il primato cittadino.
Un tempo Napoli era capitale del Regno di Sicilia, oggi il capoluogo campano è ridotto a un cumulo di titoli a caratteri cubitali che farebbero rabbrividire anche il meno nostalgico dei cittadini partenopei. Solo il pallone, forse, sarebbe in grado restituire alla città la dignità perduta, di cui è stata, per meglio dire, defraudata, con l’annessione all’Italia Unita. Tutto cominciò il il 1 agosto 1926, quando, dopo una lunga gestazione, la Società Sportiva Calcio Napoli venne fondata su iniziativa dell’industriale napoletano Giorgio Ascarelli che fu tra l’altro anche tra i fondatori del Real Circolo Canottieri Italia nella rinnovata sede sulla Banchina Santa Lucia. Questa però può essere considerata a tutti gli effetti quasi come la storia contemporanea degli azzurri, nella preistoria del club spicca un nome sopra tutti, quello di William Poths.
Poths era un uomo di nazionalità inglese che lavorava per la Cunard Line. Nel 1903 venne trasferito a Napoli dove decise di condurre anche le sue due più grandi passioni: il Football & Cricket. Non trascorse molto tempo prima che l’uomo decidesse di fondare una squadra e di portare così il calcio nel Bel Paese. Fu così che nel 1904 nacque la società Naples Foot-Ball & Cricket club, grazie anche al contributo di Mr. Bayon, e di alcuni colleghi napoletani, Conforti, Salsi e Catterina. Poths ne divenne il primo Presidente nonché attaccante di pregio. La prima sfida ufficiale della squadra che nel 1906 tolse “Cricket” dal nome fu contro i marinai inglesi della nave Arabik. La partita terminò 3-2 per gli azzurri, con Poths protagonista. Furono in questo modo lanciate le basi del Naples Foot-Ball Club, un club fondato in pizzeria ( non sarebbe potuto essere altrimenti, siamo o non siamo la patria della pizza? ), quella di Guglielmo Matecena nei vicoli di via Toledo.
Purtroppo per Poths le gioie calcistiche finirono presto. Un litigio con i suoi colleghi mise fine ai suoi sogni di gloria. Si arrivò ad una vera e propria spaccatura. Nel 1911, infatti, la componente italiana del Naples si distaccò da quella inglese. Salsi e soci cambiarono nome e diedero vita all’Unione Internazionale Napoli dove militava anche Michele Scarfoglio, figlio di Eduardo e Matilde Serao. Nel 1926 però le due compagini attuarono una nuova fusione, resa necessaria da esigenze di carattere finanziario. Ciò accadde nel panoramico ristorante D’Angelo, al Vomero dove tutto ora la Società Sportiva Calcio Napoli si riunisce per feste e cene importanti. Dalla seconda fusione nacque il Foot-Ball Club Internazionale-Naples, meglio noto come FBC Internaples.
Fu solo il 1° Agosto 1926 che Ascarelli, un giovane imprenditore partenopeo di origine ebraica, riuscì a far riunire il Consiglio dell’Internaples avanzando la proposta di cambiare la denominazione del Club in Associazione Calcio Napoli. La proposta venne accettata e Ascarelli divenne il primo presidente ufficiale della storia del club che, all’epoca, poteva vantare come simbolo un ovale azzurro dai contorni dorati, con all’interno un cavallo bianco rampante. Solo in seguito il marchio del Napoli mutò, esattamente nel 1982 il ‘ciuccio’ faceva il suo ingresso trionfale nella vita della società azzurra. Se questa storia è più o meno nota alla maggior parte dei tifosi napoletani, lo stesso non si può dire per il discorso stadio. Il primissimo stadio in cui la neonata squadra del Presidente Giorgio Ascarelli debuttò era un impianto militare situato in via Francesco Pignatelli, nella zona Vasto.
Lo stadio fu commissionato nel 1921 dal Generale Alberico Albricci, pluridecorato della Grande Guerra, fu inaugurato nel 1923 con una spettacolare corrida e consegnato nel 1926 al neonato club partenopeo. La struttura sportiva ha ospitato gli azzurri fino al 1930, prima di fungere da base per gli atleti della Partenope Rugby e di gloriarsi nel 1956 come traguardo del giro di Campania vinto da Fausto Coppi. Oggi lo stadio è una struttura sportiva multifunzione con tanto di pista atletica. Eppure le sue mura non poterono mai godere dei successi azzurri. Sebbene nella squadra militassero campioni del calibro di Attila Sallustro, un attaccante paraguaiano naturalizzato italiano che può essere considerato, ad oggi, come il primo mito calcistico di Napoli.
Fortunatamente nel primo decennio del 2000 l’impiantistica sportiva napoletana dell’Arenaccia è tornata a risplendere grazie ad una convenzione stipulata tra il Coni e ministero della Difesa per l’utilizzo dello stadio militare Albricci da parte delle federazioni. Un importante passo in avanti per la riqualificazione di un pezzo di storia che sebbene non eclatante ha comunque fatto parte, e continua a farne, di un pezzettino della storia azzurra e, di conseguenza, della nostra anima.
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