In Vico Santa Luciella, perpendicolarmente a Via San Biagio dei Librai, c’è una chiesetta, dall’esterno tanto discreta che non si direbbe nemmeno essere una chiesa. L’interno non è affatto meglio, visto che l’ambiente è talmente diroccato da essere rigorosamente vietato al pubblico. Eppure proprio all’interno di quella chiesa, lontano dagli occhi del mondo, sopravvive da secoli un inspiegabile prodigio: il teschio con le orecchie.
Se state immaginando una specie di Dumbo un po’ deperito, vi siete spinti troppo in là con la fantasia. La realtà parla di decomposizione anomala. Il corpo di un essere umano, privo di vita, in un certo senso si autodistrugge. Vengono liberati enzimi deputati ad attaccare e distruggere alcune parti del cadavere. I batteri si nutrono di tessuti e organi. Il corpo emette odori che attirano insetti, che depositano larve, che si nutrono di tutto il resto.
Restano in piedi solo le ossa. Le orecchie non sono ossa, questo è assodato. E allora come è possibile che in uno dei teschi accumulati all’interno della chiesetta di Santa Luciella, ancora campeggia un bel paio di orecchie evidentissime? Le caratteristiche di questo teschio, privo di qualsiasi tessuto, e persino della mascella, caduta e dispersa chissà dove, sono di per sé prova di una lunghissima permanenza.
Un tempo abbastanza lungo da far supporre le orecchie fossero ormai scomparse da centinaia d’anni, perchè la cartilagine di cui sono composte ha tempi di degradazione brevissimi. Eppure no. Le orecchie sono ancora lì, e sfidano le leggi della natura, vincendole, da tempo immemore. Che mistero si nasconde dietro questo prodigio? I vecchi napoletani hanno una risposta tutta loro.
Avete presente il cimitero delle Fontanelle? Un vero ossario, nato nel 1600 per far fronte all’esigenza di sistemare la quantità spropositata di cadaveri dovuti alla peste. In quel cimitero nacque il rito delle “anime pezzentelle”. Si adottava uno di quei teschi (si supponeva appartenente ad anime destinate al purgatorio) e in cambio di benevolenze, ci si curava di lui, pulendolo e offrendogli una dimora in forma di piccola casetta.
Queste Capuzzelle (spesso si trattava di piccoli crani di bambini) erano dette Pezzentelle perchè anonime, figlie di nessuno. Per questa ragione si dava loro un nome, e le si “accoglieva” nella propria famiglia. Il teschio della chiesa di Santa Luciella è da sempre stato considerato una Capuzzella particolarmente attenta alle esigenze di tutti.
Quelle orecchie venivano così spiegate dalla saggezza popolare: una particolare predisposizione e disponibilità all’ascolto, un’attenzione speciale alle esigenze dei vivi, di cui il teschio si sarebbe fatto portavoce nel mondo dell’aldilà, quel mondo che ai vivi è interdetto ma da cui possono provenire i miracoli più inaspettati.
Fin qui la credenza popolare. Ma la scienza cosa dice? Nulla. Assolutamente nulla. Non si è ritenuto di dover procedere all’analisi di un fenomeno più unico che raro, pertanto non esistono studi, ricerche, o fascicoli sull’argomento. Possiamo parlare solo dell’impossibilità si tratti di cartilagine persistente. Molto più alta la probabilità che quelle orecchie siano state mummificate.
E più precisamente, che la carne di quelle orecchie sia stata mummificata. Le pratiche per la mummificazione non sarebbero certo una sorpresa, visto che sono note a partire da civiltà antichissime (celebri quelle egizie). Pur essendo vero che a Napoli la suggestione egizia è stata da sempre recepita favorevolmente, specie nel culto di Iside, possibile se ne fossero assimilati i sistemi di mummificazione? e per quale ragione le orecchie e non altro?
Un tentativo di spiegazione ci giunge a partire da un mosaico proveniente da Pompei e conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Se date un rapido sguardo alla foto in alto, noterete senz’altro una caratteristica comune ai due scheletri: le protuberanze all’altezza delle orecchie. Ma, mentre nella chiesa di Santa Luciella il teschio sembra non avere un contesto, qui ce l’ha.
E si tratta di un contesto particolarmente evidente. Il teschio, simbolo esso stesso utilizzato spesso in ambito massonico, è circondato da simboli che richiamano la prima massoneria: la ruota a sei raggi, la farfalla, il filo spezzato, il triangolo. La massoneria riprese antiche simbologie, frutto di riti arcaici tramandati di generazione in generazione e mai del tutto abbandonati.
Potrebbe quindi darsi che le orecchie sullo scheletro rientrassero in una simbologia che non non conosciamo, ma le cui radici affondano a tempi addirittura antecedenti alla tragedia di Pompei. Questo spiegherebbe la mummificazione delle orecchie, rituale altrimenti privo di ogni forma di senso.
Che il tutto sia successo all’interno della chiesa di Santa Luciella, potrebbe anche non essere significativo. Potrebbero non esserci ragioni evidenti che leghino il teschio con le orecchie al luogo che momentaneamente lo ospita. Ma qualsiasi leggenda tra quelle popolari abbia il privilegio di un riscontro concreto, andrebbe preservata e cautelata.
Ci sta provando da quattro anni un gruppo di ragazzi, volontari, riuniti nell’associazione “Respiriamo Arte”, i quali hanno organizzato una raccolta fondi intitolata “Chi ha orecchio intenda”,. L’obiettivo è quello di raggiungere i 25000 euro per rendere nuovamente agibile la chiesa di Santa Lucietta.
Mancano 10 giorni alla fine della raccolta fondi e 23000 euro al raggiungimento dell’obiettivo. I volontari di Respiriamo Arte hanno già dimostrato di lavorare bene riqualificando la chiesa dell’Arte della Seta, anch’essa in stato di totale abbandono prima del loro interessamento.
La Chiesa di Santa Luciella, a prescindere dal teschio, meriterebbe maggiore considerazione. La sua fondazione è infatti molto antica. Si parla di XI secolo, anche se l’aspetto attuale è il frutto di un’opera di restauro del 1700. La Chiesa era di proprietà della confraternita dei pipernieri, i lavoratori di piperno che tanto hanno contribuito allo stile dei palazzi di Napoli. Il portale della chiesa, in piperno, è una loro creazione.