Se volete capire il vero significato della parola ‘devozione’, allora dovete fermarvi un attimo per ascoltare quanto ho da raccontarvi. Ci troviamo a Napoli, nella Chiesa di Santa Maria del Carmine, posta su un lato della omonima piazza cui peraltro ha dato il nome. Siamo a ridosso di uno dei luoghi più importanti del capoluogo campano: piazza Mercato. I due siti dovrebbero però essere considerati come tutt’uno a causa non solo della vicinanza fisica ma anche e soprattutto delle vicende storiche comuni che li hanno attraversati nel corso del tempo. La Basilica Santuario del Carmine Maggiore è una delle più grandi e importanti di Napoli. Il suo suggestivo campanile è, infatti, il punto più alto di Napoli e splende grazie alle maioliche che ne adornano la cuspide.
La Chiesa fu costruita nel XIII secolo in onore della Madonna del Carmine, detta anche Madonna Bruna per via del colore della sua pelle, e custodisce al suo interno molte interessanti memorie storiche come, ad esempio, l’effige di Mamma Schiavona. Si tratta di una tavoletta rettangolare, molto probabilmente di derivazione bizantina che attira, ogni giorno, tantissimi fedeli i quali, una volta superato l’altare maggiore della Basilica del Carmine Maggiore, si dirigono verso la Cappella della Vergine dove si inginocchiano e, a testa bassa o con le mani giunte in preghiera, si rivolgono alla Madonna Bruna che stringe a sé, come solo una mamma sa fare, il suo piccolo Gesù.
La Vergine, come è spesso di abitudine a Napoli, nel corso del tempo ha travalicato i confini della semplice e pura devozione tramutandosi in un vero e proprio culto che è sfociato non solo nella parlata dialettale popolare con un’esclamazione che tutti i cittadini del capoluogo campano conoscono benissimo e che hanno usato almeno una volta nella vita “Mamma d’o Carmene” ma anche nella meravigliosa e famosa festa della Madonna del Carmine, celebrata ogni 16 luglio. Durante questa ricorrenza molti napoletani accorrono in piazza per poter assistere al finto incendio del campanile della chiesa, con gli occhi all’insù a guardare i fuochi d’artificio più belli al mondo. I tesori custoditi all’interno della Chiesa di Santa Maria del Carmine non si esauriscono qui.
Impossibile, infatti, non citare il monumento a Corradino di Svevia, fatto realizzare nell’Ottocento da Massimiliano II di Baviera, per ricordare il re di Sicilia che fu decapitato a Piazza Mercato per volere di Carlo d’Angiò a soli sedici anni, o la targa che vuole ricordare ai napoletani come la Chiesa abbia custodito per molto tempo le spoglie di Masaniello, il rivoluzionario che nel 1647 spinse il popolo partenopeo a ribellarsi contro la ‘dittatura spagnola’. E’ però sotto l’arco trionfale che riposa un tesoro prodigioso di cui si tramanda una storia leggendaria esposta dal P. Filocalo Caputo nel suo volume “Il Monte Carmelo” 4 ed, Napoli 1683. Un’antica pergamena citata da numerose fonti storiche e conservata presso l’Archivio del Convento raccontava i seguenti avvenimenti che videro come protagonista un antico crocifisso in legno risalente al XIV secolo.
Leggenda narra che Alfonso d’Aragona, dopo un primo tentativo fallimentare teso alla conquista di Napoli, riprovasse ad accaparrarsi il capoluogo campano alcuni anni più tardi grazie ad un esercito al cui comando venne posto il fratello Piero. Gli Angioini e gli Aragonesi si stavano contenendo Napoli che, proprio in quel particolare periodo storico, subiva il regno di Renato d’Angiò. Il sovrano aveva collocato le sue artiglierie sul maestoso campanile della Chiesa di Santa Maria del Carmine quando Alfonso V d’Aragona assediò la città accampandosi presso le rive del fiume Sebeto, nelle vicinanze dell’attuale borgo Loreto. Purtroppo il 17 ottobre 1439 l’infante don Pietro, fratello d’Alfonso, notò uno strano movimento nei pressi del famoso campanile tanto bastò affinché l’uomo ordinasse ai suoi di fare fuoco proprio in detta direzione.
Il colpo di una bombarda, chiamata “La Messinese”, attraversò il muro della Basilica, penetrando al suo interno. Il crocifisso ligneo sarebbe andato completamente distrutto se il Cristo che vi era adagiato sopra non avesse avuto la prontezza di chinare il capo. In tal modo solo la corona di spine saltò via. La palla, ancora oggi conservata nella cripta della Chiesa, rotolò quindi sulle assi di legno producendo un gran fragore. La notizia del ‘miracolo del crocifisso’ volò veloce di bocca in bocca fino ad arrivare alle orecchie di Alfonso d’Aragona. Il principe spagnolo fu così impressionato dalla vicenda tanto da ordinare a suo fratello Pietro di interrompere i bombardamenti. L’infante però disobbedì alla volontà sovrana e questo atteggiamento gli valse la vita.
Il giorno seguente, infatti, mentre l’infante dava di nuovo ordine di azionare la ‘Messinese’, un colpo angioino partito dal campanile, dalla bombarda ‘la Pazza‘, tranciò di netto la testa del fratello di Alfonso d’Aragona. Quest’ultimo scosso dal lutto decise di togliere l’assedio ma quando, nel 1442, tornò di nuovo alla carica ordinò perentoriamente al suo esercito di non mirare per alcun motivo in direzione della Basilica del Carmine Maggiore. Il 2 giugno, dopo aver sconfitto finalmente i francesi, il principe spagnolo faceva il suo ingresso trionfale in città. Il suo primo pensiero fu quello di recarsi presso la chiesa che custodiva il miracoloso crocifisso ligneo per venerarlo e per chiedere perdono dell’atto sconsiderato del fratello. Alfonso d’Aragona però non si fermò alla banale prostrazione.
Il sovrano, infatti, fece costruire dal Maestro Antonio Curata un sontuoso tabernacolo che potesse ospitare il crocifisso. Purtroppo l’edicola non venne completata in tempo e fu portata a compimento solo dopo la morte del Re. Era il 26 dicembre del 1459. Mai data fu più profetica. Da allora, infatti, ogni anno, a partire proprio dal giorno in cui si celebra Santo Stefano fino al due gennaio, e di nuovo nel periodo di Quaresima, l’immagine viene svelata ai fedeli. Tale usanza continuò anche nei secoli a venire ma fu, soprattutto, nel corso del Seicento, che l’abitudine di recarsi presso il crocifisso ligneo assunse un significato particolare, quasi ‘miracoloso’. Napoli, infatti, nel 1676, venne risparmiata da una terribile tempesta per intercessione, almeno così leggenda narra, del crocifisso svelato in via eccezionale per l’occasione nefasta. Ed è proprio questo il motivo per cui anche durante il periodo di Quaresima i fedeli possono godere della magnifica vista dell’imago di matrice cristiana.