Non esiste un solo formaggio campano che non sia tipico e, soprattutto, che non faccia capo alla prima donna della tavola partenopea: la mozzarella. Questa delizia del palato esiste quasi certamente già a partire dal 1400, epoca in cui viene citata col nome di “mozza”. La sua origine, molto probabilmente, è più antica, perchè le bufale che producono il latte per produrla, furono importate in Italia dai Longobardi nel VI secolo. Alla candida e fresca mozzarella si affiancano la provola affumicata, il fiordilatte, la scamorza, i burrini per non parlare delle ricotte fresche e salate.
Impossibile poi non citare i caciocavalli e i provoloni. Insomma quando un napoletano va a fare la spesa ha solo l’imbarazzo della scelta. I formaggi che si producono in Campania, infatti, sono numerosi e variegati e si differenziano nettamente gli uni dagli altri sia per consistenza che per sapore. Di certo influisce la lavorazione ma, a quanto sembra, anche l’aria del luogo di produzione sembra giocare un ruolo di primo piano in tal senso. Se non credete alle mie parole, non vi resta che assaggiare, uno ad uno, i latticini e i formaggi campani più famosi al mondo.
I FORMAGGI E I LATTICINI CAMPANI PIÙ’ FAMOSI AL MONDO
La ricotta di fuscella: ha una consistenza leggera ed umida ed è venduta in cestini dove viene messa appena prodotta in modo tale da far scolare tutto il suo siero. Non viene impiegata in cucina per preparazioni gastronomiche ma viene mangiata cruda. Oggi purtroppo la si trova raramente eppure, un tempo, il suo sapore leggero e delicato la rendevano un prodotto a dir poco d’eccellenza.
La ricotta romana: non viene prodotta a Napoli ma non sbagliamo quando diciamo, dato il largo utilizzo che se ne fa, che si tratta di un prodotto d’adozione partenopea. Si può mangiare sia cruda, con l’aggiunta o meno di zucchero, che adoperare per la preparazione di moltissimi piatti, soprattutto i primi. Ha una consistenza compatta e soda e quella prodotta a Napoli non ha nulla da invidiare alla omologa romana.
La ricotta salata: a differenza delle sue predecessore, questo prodotto viene confezionato con il latte di pecora, viene messo all’interno di cestini ed è conservata, come il sapore e la nomenclatura suggeriscono, sotto sale.
La mozzarella: dopo aver portato il latte di bufala ad una certa temperatura, gli si aggiunge il ‘caglio’ che ne solidifica la parte più sostanziosa facendola cadere in pasta sul fondo. A questo punto non resta che stracciare questa pasta per farla poi sgocciolare e riposare ( o lievitare che dir si voglia ). Una volta raggiunto il giusto punto di ‘lievitatura’ la si mette nell’acqua calda e la si lavora fino a quando non fila. E’ a questo punto che la pasta è pronta per essere ‘mozzata’ ( spezzata ), da qui il nome della mozzarella. Subito dopo il latticino fresco viene prima immerso in acqua fresco per farlo solidificare e poi viene lasciato in salamoia per poche ore in modo tale da fargli prendere sapore.
I bocconcini di Cardinale: si tratta di mozzarelle molto piccole che non vengono passate in salamoia ma si preferisce immergerle direttamente nella panna o nel latte. Vengono vendute nelle ‘langelle‘ meglio conosciute come anfore di terracotta.
La provola affumicata: altro non è che una specie di mozzarella che viene esposta al fumo di legna dopo essere stata confezionata. A causa di questa particolare lavorazione diventa esternamente marrone, mentre all’interno resta di un delicato color avorio. Un sapore assolutamente inconfondibile.
Il fiordilatte: a differenza della mozzarella viene prodotto a partire dal latte di vacca. Richiede il medesimo procedimento del prodotto precedente, ma la lavorazione finale è differente sia per colore che per pasta. La diversità molto probabilmente è da imputare al latte. Fuori Napoli questa delizia del palato viene molto spesso, ed erroneamente, confusa con la mozzarella.
La scamorza: è un prodotto di difficile reperibilità perchè lo si consuma, almeno a Napoli, sempre più raramente. A parte una piccolissima differenza nella lavorazione, può essere avvicinata al fiordilatte. La ai poteva comprare sia tonda che sotto forma di piccolo caciocavallo.
Il provolone: la famiglia dei provoloni è molto numerosa. Si parte dal provoloncino così detto “bebè”, piccolo e dolcissimo quasi un latticino, e si finisce per assaggiare quello dolce, quello medio ( leggermente più saporito del precedente ) ed infine quello piccante. Hanno tutti la stessa pasta, quello che cambia è la lavorazione. Nello specifico la temperatura e alcuni accorgimenti relativi alle stagionature.
Il caciocavallo: di rara reperibilità, si tratta di un prodotto non solo costoso ma che si differenzia poco dal provolone da cui si distingue soprattutto per la consistenza. Si tratta, infatti, di un formaggio più compatto. Ha la classica forma ‘a fiasco’ e presenta in alto la caratteristica strozzatura che culmina nella così detta ‘capa di caciocavallo’. A Napoli, fino a una cinquantina di anni fa, lo si usava grattugiare se era ben stagionato.
I burrini: hanno uno strato esterno di pasta di provolone dolce ripieno di burro. Sono ottimi da mangiare spalmandone il burro sul pane e salandolo. Purtroppo non si conservano troppo a lungo, quindi una volta acquistati, vanno consumati all’istante. Una scusa in più per farne incetta quando nessuno ci guarda.