Perché la Napoli calcistica è rappresentata da un asino, ve lo siete mai chiesti? Come mai una squadra che da tempo è riconosciuta come una delle migliori d’Italia, e tante volte in Europa s’è distinta per lo splendido spettacolo offerto, tanto da essere esaltata da giornali solitamente poco teneri nel confronti del Bel paese, come mai, dicevamo, una squadra del genere dev’essere rappresentata da un animale così poco “fiero”?
La storia che ha portato la Napoli calcistica a riconoscersi in un somaro, in un asino, in un ciucariello, come desiderate chiamarlo, poteva nascere solo a Napoli. In nessun’altra città avrebbe potuto mai succedere ciò che successe qui da noi agli inizi del 1900, quando la squadra era talmente malmessa, che il popolo napoletano decise di intervenire a gamba tesa, per completare l’opera.
Quando nel 1926 l’Internaples Foot-Ball Club viene “invitato” a militare nella Divisione Nazionale dal CONI (organo allora decisamente fascista), esisteva già da quattro anni e partecipava ai campionati del Sud (perchè ai tempi c’era un campionato del Sud, ed un campionato del Nord).
La squadra fondata nel 1922 grazie all’iniziativa dell’industriale Giorgio Ascarelli, oltre ad accettare di buon grado l’invito nella “massima serie”, accolse anche un ulteriore “invito”: quello a modificare il nome della società da Internaples Foot-Ball Club (ritenuto troppo poco nazionalista), in Associazione Calcio Napoli.
E allora, l’asino dov’è? Non c’è. Non ancora. Il simbolo della squadra nel suo primo anno di militanza nel campionato nazionale (stagione 1926-1927), era di tutto rispetto: consisteva in un ovale azzurro dai contorni dorati, con all’interno un cavallo bianco rampante, posizionato su un pallone, e circondato dalle lettere A, C, e N (Associazione Calcio Napoli).
Tutto, di quel simbolo, trasudava nobiltà e tradizione. Il colore azzurro era il colore ufficiale borbonico. Il cavallo rampante era il simbolo di Napoli all’interno del Regno delle due Sicilie, scelto dalla dinastia sveva per testimoniare l’indomabilità e l’impeto del popolo napoletano. A questo proposito vi citiamo una chicca poco conosciuta.
Carlo di Borbone, affascinato dal cavallo e da ciò che simboleggiava per la città di Napoli, tentò di trasformarlo in qualcosa di reale, facendo incrociare le migliori razze equine. E cosa venne fuori da quest’incrocio di nobili natali? L’asinello? No, decisamente. Un cavallo di razza chiamato Cavallo Persano, estinto nel 1874 per decreto dei Savoia, invidiosi dell’eccellenza altrui.
La prima stagione del Napoli nel campionato nazionale fu un’autentica catastrofe. Per chi si lamenta dei risultati attuali, si consoli con questa statistica. In 18 partite l’Associazione Napoli Calcio fu capace di perderne 17. Ne pareggiò soltanto una, col Cagliari, senza peraltro riuscire a segnare. I gol al passivo furono (tenetevi forte) 61. Ora forse l’asino comincia a c’entrare qualcosa.
Si racconta che al Brasiliano (poi Pippone), un bar in Via Santa Brigida, tale Raffaele Riano, tifoso sconsolatissimo del Napoli, esasperato da questi risultati, urlò ai presenti: “Ato ca cavallo sfrenato, a me me pare ‘o ciuccio ‘e fichella, trentatré chiaje e a coda fraceta!”, (Altro che cavallo sfrenato! A me pare l’asino di Fichella, 33 piaghe ed una coda marcia).
Ma che significano queste parole sibilline? Dovete sapere che ai tempi lo stadio del Napoli era sito in Via Santa Brigida, nel Rione Luzzatti. Nello stesso rione era molto noto Don Domenico Ascione, un omino magro magro che per vivere raccoglieva fichi di notte, e li rivendeva di giorno. Da qui il suo soprannome: o Fichella. E’ lui il Fichella di poco fa.
Aveva un asino messo anche peggio di lui, magro ed emaciato, coperto di piaghe, e con la coda in cancrena. La povera bestia provava a rendersi utile trasportando qualcosa, ma dopo pochi passi stramazzava al suolo, esausto. Eccolo finalmente, l’asino da cui è nato il simbolo. In quell’annata calcisticamente drammatica, il Napoli Calcio somigliava per quel tifoso di Torre del Greco all’asino di Fichella, distrutto ad ogni occasione.
Caso vuole che, mentre Raffaele Riano pronunciava a gran voce la sua battuta di spirito per strappare una risata a tutti i presenti, mangiava nello stesso locale un giornalista, che riportò la battuta sulle pagine del suo giornale satirico, e cominciò a diffondere anche vignette sul tema Napoli-Asino. Tutto questo prese piede ben oltre le aspettative.
Ed ecco l’ufficialità. Nel 1930, dopo una miracolosa rimonta di due gol sulla Juventus, un asino fa invasione di campo, col cartello “Ciuccio ffa tu”. Nel 1982 il ciucciariello fa la sua prima comparsa sulle maglie ufficiali della squadra. La Enne di Napoli viene utilizzata come fosse il corpo dell’asino, su cui campeggia la testa del somaro. Nasce così uno dei simboli più cari ai napoletani, dalla prorompente allegria di un popolo, in grado di sdrammatizzare come nessun altro mai, in Italia e nel Mondo.