Il saponaro (in napoletano sapunaro) è un antica professione presente a Napoli, risalente alla prima metà del XX secolo. Queste figure erano solite passare di casa in casa per raccogliere oggetti di cui la gente voleva disfarsi o vecchia mobilia. In cambio il saponaro rendeva invece di soldi, pezzi di sapone.
Questo detergente era prodotto dai monaci olivetani che erano ospiti del Monastero accanto alla Chiesa di Santa Maria di Oliveto, oggi nota con il nome di Sant’Anna dei Lombardi. Il risultato era un prodotto di grande qualità, simile a quello di Marsiglia. Il sapone era molto utilizzato, sia per lavare i panni che per la pulizia del corpo e dei capelli. A quei tempi non esistevano grandi aziende che fabbricavano questo bene e che, quindi concorressero con il saponaro.
Questo mestiere era praticato da chi non era capace di esercitare alcuna arte. Il saponaro, infatti, era solito accettare di tutto, in particolare mappine, vestiti consumati e malandati, scarpe vecchie e oggetti di vario utilizzo. Utensili forniti solitamente dalle donne di casa che tramite il baratto ottenevano una . Da qui nasce il proverbio “ccà ‘e pezze e ‘ccà ‘o sapone” riferita all’equità dello scambio.
La figura del saponaro è molto considerata nella tradizione partenopea. Fino a qualche decennio fa, il saponaro girava ancora per le strade e i vicoli della città indossando alcuni degli stracci che vendeva, quelli dai colori più vivaci e sulle spalle un sacco di juta in cui portava il sapone.
Una figura divenuta popolare nel folklore locale, lo possiamo immaginare per le strade mentre richiama le donne alle finestre: “Robba ausata, scarpe vecchie, simme lente, stamme ccà! Bona gente arapite ‘e recchie: sapunare, sapunà!”. Il saponaro sfruttava una caratteristica tipica delle massaie napoletane, che erano molto attente alla pulizia. I partenopei, ricordiamo, sono stati i primi in Europa a potersi lavare quotidianamente a casa, dove c’era l’acqua corrente, mentre gli altri erano costretti a immergersi nelle acque di fiumi e canali.
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