Parte da un pozzo presente a Bagnoli, quartiere occidentale di Napoli, lo studio stratigrafico del progetto Campi Flegrei Deep Drilling Project (Cfddp) che ha consentito di ricostruire l’evoluzione dell’attività eruttiva nel settore orientale dei Campi Flegrei.
Un pozzo profondo 501 metri, a ridosso della collina di Posillipo, che ha permesso di ricostruire 47mila anni di storia geologica contraddistinti da 70 eruzioni. I risultati sono in un’articolo “The Campi Flegrei Deep Drilling Project (Cfddp): New insight on caldera structure, evolution and hazard implications for the Naples area (Southern Italy)”, pubblicato sulla rivista Geochemistry, Geophysics, Geosystems dell’American Geophysical Union.
I ricercatori hanno analizzato campioni di roccia soffermandosi sui prodotti delle due violentissime eruzioni avvenute rispettivamente 39mila e 15mila anni fa: l’ignimbrite campana e il tufo giallo. Grazie a queste analisi, sono stati ridefiniti anche i confini della caldera flegrea.
“Finora – spiega Giuseppe De Natale, dirigente di ricerca Ov-Ingv e coordinatore del progetto – la maggior di noi pensava che la caldera includesse tutta la città di Napoli. I nuovi dati forniscono oggi informazioni fondamentali per determinare correttamente la pericolosità vulcanica nel centro cittadino. In più la notevole superficialità dei prodotti di eruzioni anche molto antiche implica che, nel settore orientale della caldera (quello a ridosso di Napoli) il volume è molto minore di quanto accade nel settore occidentale”.
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Riepilogando “i nuovi dati indicano chiaramente che la collina di Posillipo rappresenta il limite Orientale della caldera flegrea, sia per il Tufo Giallo Napoletano che per l’Ignimbrite Campana. L’identificazione di Posillipo come limite orientale della caldera per tutte le eruzioni di collasso rappresenta un’indicazione importantissima per determinare correttamente la pericolosità vulcanica nel centro cittadino”.
Lo studio ha consentito anche di acquisire informazioni preziose sulla genesi del bradisismo di Pozzuoli. “Abbiamo compreso – spiega De Natale che la maggior parte del grande sollevamento osservato dal 1969 al 1984 sarebbe dovuto alla diretta intrusione di magma nei livelli superficiali, e solo una parte minore può essere spiegata dal riscaldamento delle acque superficiali”.