Tra faide, stese e arresti, la guerra di camorra in città è più viva che mai. Altro che Gomorra, a Napoli si muore sul serio. Dall’agguato di Melito, alle paranze di ragazzini che si contendono Forcella, agli spari nella Sanità. Il centro del capoluogo campano è una polveriera. Il territorio è la preda dello scontro per chi deve assumerne il controllo.
Ogni occasione è buona per approfittare di un punto debole del nemico, così il clan Lo Russo, decimato da agguati e arresti, è vittima dei suoi nemici ma anche di una fronda scissionista interna.
Dalle aule della Procura di Napoli e dal Palazzo di Giustizia arrivano importanti novità. Infatti i pentiti dei vari clan (oltre ai Lo Russo), in particolare degli scissionisti di Secondigliano (gli Amato – Pagano), stanno fornendo dettagli fondamentali per delineare lo scenario attuale della criminalità organizzata a Napoli: la mappa della città e chi è ai vertici dei clan.
La Dda di Napoli ha raccolto le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmine “Takendò” Cerrato. Il pentito, come riportato da Internapoli, è il cognato del boss degli Spagnoli, il clan scissionista di Secondigliano. Parliamo di Cesare Pagano, capo clan della famiglia Amato – Pagano, insieme a Raffaele Amato. A reggere i vertici dell’organizzazione criminale ci sarebbe una donna. Quest’ultima ha fatto in modo de tenere in vita il giro d’affari del clan legato al traffico internazionale di stupefacenti.
Nuove ipotesi per gli inquirenti, per chiarire alcuni episodi di camorra, sono arrivate dalle confessioni di Mario Lo Russo. L’ex boss dell’omonimo clan, come riportato da TeleclubItalia, ha affermato: “Accanto ai boss storici quali Eduardo Contini, Patrizio Bosti, Ciccio Mallardo, Salvatore Botta, Egidio Annunziata, c’era mio fratello Giuseppe come componente e capo dei Lo Russo. Per i Licciardi c’erano i fratelli Vincenzo, Pietro, Maria e i nipoti Pierino e Giovanni. Negli ultimi tempi il rapporto tra Patrizio Bosti, Ciccio Mallardo ed Eduardo Contini è lo stesso di decenni fa: sempre uniti“. Ecco cosa ha raccontato alla giustizia il Capitone che continua: “Anna (moglie dal capoclan giuglianese Francesco Mallardo) e Rita Aieta fanno di certo parte del clan, sia in quanto gestiscono i soldi della cosca dei Contini ad alti livelli, sia perché il clan le riconosce come donne di vertice: se loro due danno l’ordine di non fare estorsioni a uno, il clan esegue l’ordine e l’estorsione non si fa“.
Come riportato dal portale Retenews24, in questo quartiere di Napoli era forte la famiglia D’Amico, nata sulle ceneri del potente clan Sarno. “Ora la camorra la facciamo noi. Tanto Chernobyl non ci sta più. Ora è peggio.. ci stanno le donne“. Così parlava Nunzia D’Amico, sorella dei due boss detenuti e moglie di Salvatore Ercolani, detto appunto Chernobyl. Intercettata grazie a una microspia piazzata nella sua abitazione, la donna, madre di sei figli, aveva preso le redini del clan fino all’omicidio avvenuto il 10 ottobre del 2015 in un agguato avvenuto nel Rione Conocal e probabilmente eseguito dai killer dei De Micco, il clan rivale che da tempo è in lotta per il controllo degli affari illeciti. Dopo la morte di Nunzia D’Amico, che non voleva scendere ad accordi con i “Bodo” (“a casa mia comando io”), la gestione delle attività criminali è passata, fino all’arresto di giugno 2016, nelle mani di Anna Scarallo, moglie del boss Antonio D’Amico. Anche in questo caso, dunque, donne al comando che iniziano a sostituire i boss arrestati o uccisi, per poi restare saldamente ai vertici dei clan.
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