Paranza dei bambini paragonata ai militanti della jihad. Il gup del Tribunale di Napoli Nicola Quatrano così descrive il nuovo fenomeno della malavita organizzata napoletana. Sono giovani e giovanissimi che si prefiggono un chiaro obiettivo: il ricambio generazionale all’interno delle cosche attraverso la tecnica del terrore. Le parole del giudice sono state riportate dall’edizione online de Il Mattino.
Il giudice Quatrano ha depositato le motivazioni ella sentenza emessa il 15 giugno scorso: 43 condanne, pene da 20 a 14 anni di reclusione inflitte ai nuovi boss, in accoglimento delle richieste avanzate dai pm della Dda Francesco De Falco e Henry John Woodcock. Nel descrivere il look di questi nuovi camorristi il giudice ha fatto paragoni con le gang giovanili e i cartelli sudamericani, ma anche con gli estremisti islamici: “diversi imputati infatti hanno esibito una folta barba alla talebana, così come non si può escludere un filo più sottile ed esistenziale che lega i giovani che scorrono in armi nelle vie del centro storico di
Napoli per uccidere e farsi uccidere, e i militanti del jihad: entrambi sono ossessionati dalla morte, forse la amano, probabilmente la cercano, quasi fosse l’unica chance per dare un senso alla propria vita e per vivere in eterno“.
Questi nuovi giovani criminali, imparentati con i boss di Napoli, si impongono nel centro storico attraverso raid e stese per eliminare il clan Mazzarella ed effettuare un “radicale cambio generazionale”. Scrive Quatrano: “I nuovi boss si mostrano indifferenti al tradizionale concetto di prestigio, scaturente soprattutto da una lunga permanenza in carcere, magari al 41 bis, dall’appartenenza a famiglie camorriste e dall’esperienza di vita. I valori in cui credono i nuovi rampolli sono quelli della capacità e dell’efficienza, non necessariamente legati a un’età matura, all’esperienza carceraria o alla tradizione familiare“.
La voglia di questa nuova generazione di boss di inscrivere il nome nella storia è colpa anche dei medi, secondo il giudice. Un esempio che potrebbe sintetizzare l’intera questione è l’assassinio del boss 19enne Emanuele Sibilio, ucciso in un agguato: “Egli – si legge nella sentenza – è oggi come l’eroe eterno dei vicoli e delle stradine del centro cittadino, venerato quasi come San Gennaro, sull’altare che la famiglia ha eretto a sua memoria nell’androne del palazzo dove abitava. Il progetto della paranza è ora in declino forse anche in seguito alla scomparsa di Sibilio. La principale ragione del fallimento risiede nell’efferatezza del loro modo di fare che li ha resi invisi agli abitanti dei loro stessi quartieri. Questi ‘guappi’, violenti e talvolta drogati, sono stati battezzati con la fortunata espressione ‘paranza dei bambini'”.